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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

N. 6
maggio-agosto 2003


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Alcuni suggerimenti per una didattica efficace
Paolo Torresan 
[torna alla prima parte]

4. Gestire lo spazio

Spesso si nota, anche nelle scuole che si dichiarano comunicative, una certa rigidità per quanto riguarda la gestione dello spazio. Talvolta, è vero, ci sono arredi che non si possono facilmente spostare (sedie, tavoli ecc.), ma più spesso sono gli insegnanti che, pur avendone la possibilità, non fanno muovere i loro studenti.

Cambiare di posto, ricordiamo, significa cedere rispetto al proprio punto di vista, per condividere un nuovo punto di vista; significa far agire il corpo, e di conseguenza mettere a contatto la lingua con la dimensione emotiva, e significa infine favorire la collaborazione e la partecipazione (tanto che a far cambiare di posto gli studenti più taciturni si rischia di ottenere un mutamento del loro stato: da passivi ad attivi, da oggetti in attesa di input a soggetti che producono, mediano, mettono in comune, commerciano la lingua).

È lo stesso insegnante poi che, cambiando di posto, attiva o meno un certo feedback. Un insegnante che all’occorrenza sposta le sedie o i tavoli dimostra di prendere l’iniziativa e di inventare un nuovo spazio, di non accettare lo spazio così com’è. In una disposizione a cerchio è necessario, per esempio, che non ci siano sedie vuote o occupate da borse, vestiti, etc., i quali costituirebbero degli ostacoli alla comunicazione (7).

Alcuni segreti circa la posizione di chi insegna? Se durante una produzione scritta il docente si aggira tra i banchi invece di star seduto dietro la cattedra, è più facile che gli studenti gli chiedano aiuto; se si avvicina più a certi studenti che ad altri, è inevitabile che i primi si sentano più spronati a far domande. Nel caso in cui voglia che gli studenti lavorino da soli e facciano leva sulle loro risorse, è meglio che se ne stia in un angolo, limitando fisicamente la propria disponibilità: interviene solo se interpellato.

Con l’esperienza ci si accorge di come si possa agire sullo spazio per stimolare anche gli studenti più insicuri. Se si desidera, ad esempio, che uno studente riservato riformuli un pensiero a voce alta, occorre ci si allontani da lui anziché avvicinarglisi, e magari parlare con un tono più basso. Proviamo a pensare: ciascuno di noi si sente più sollevato se una (possibile) fonte del giudizio è tenuta a debita distanza.

5. Gestire le parole

Chiedete a un vostro collega che vi cronometri mentre insegnate, senza però che voi sappiate quando (sarà dunque necessario che lui/lei se ne stia fuori dall’aula), e che si annoti il tempo in cui voi parlate e quello in cui parlano gli studenti. Ora, non è infrequente che la voce degli insegnanti occupi circa un ¾ della lezione tra spiegazioni, commenti, consegne, correzioni, battute di spirito, domande, etc.

Eppure un buon insegnante dovrebbe sapere che maggiore è la sua presenza verbale in classe, minore è lo spazio lasciato agli studenti, minori le possibilità che questi hanno per esercitare la lingua e minori le probabilità che la imparino (8). Si tratta di mettersi nell’ottica dello studente-cliente che ha pagato per raggiungere, alla fine del corso, una competenza comunicativa globale, non parziale, limitata ad una attività puramente ricettiva.

La concisione, in particolare, è una regola d’oro, specialmente durante la consegna di un’attività. Dire troppo significa dare troppi vocaboli, e più parole si usano, maggiore è la fatica dello studente e più facile la confusione. In ogni caso, si può essere ridondanti senza essere prolissi, ripetendo più volte lo stesso concetto.

Essere chiari ed efficaci all’inizio di un’attività è tanto importante quanto chiudere un’attività con parole che diano un senso di compiutezza e di soddisfazione per il risultato raggiunto.

6. Gestire le simpatie

Abbiamo le nostre simpatie. Possiamo rivolgerci più volentieri ad uno studente anziché ad un altro; possiamo istintivamente cedere la parola ad un estroverso e lasciare nell’angolo l’introverso, o semplicemente essere più cordiali e affabili con gli studenti piuttosto che con le studentesse o viceversa.

Prendere le distanze dalle simpatie si può realizzare fisicamente, allontanandosi dagli studenti che ci attraggono e avvicinandosi agli studenti con cui ci risulta meno spontaneo entrare in contatto, oppure controllando se il nostro contatto visivo è ben distribuito e se riusciamo ad essere ironici e briosi anche con chi ci pare meno portato a entrare in sintonia con il nostro modo d’essere.

7. Gestire l’attesa

La sorpresa, il dato inatteso, la consegna inaspettata sono i potenti catalizzatori dell’attenzione. Suggerisco di non entrare mai in classe allo stesso modo, di non presentare mai un’attività allo stesso modo, di non concludere mai la lezione allo stesso modo. Al contrario, propongo di sperimentare forme nuove, consiglio di ideare strategie inedite e di confrontarsi con testi eterogenei e singolari. Sono convinto che l’imprevedibilità costituisca una risorsa formidabile per stimolare la creatività, e attivi un vortice positivo che arrivi a coinvolgere pure gli studenti più restii alla comunicazione (9). Bando dunque alla routine, alla monotonia, alla mancanza di sperimentazione; viva una sana dose di istrionismo e al gusto della varietà (di materiali, di attività, di strategie ecc.).

8. Gestire i materiali

Una prassi abbastanza consolidata vuole che l’insegnante faccia leggere o ascoltare un brano una sola volta o al massimo due, visto che si preferisce che lo studente focalizzi quanto prima la sua attenzione sulle forme da analizzare.

Lo studente però fa proprie le caratteristiche più profonde e invisibili del testo solo riguardando o risentendo lo stesso più volte e in tempi diversi. In altre parole l’interlingua si struttura e si complessifica a patto che forniamo un input ricco e ripetuto.

Occorrerebbe ideare stratagemmi ad hoc, vale a dire consegne curiose e accattivanti, affinché lo studente sia invogliato a ritornare sul testo. Le vie maestre che permettono di abitare una lingua straniera, i processi di inferenza, avvengono infatti spontaneamente man mano che il testo diventa familiare e il suo grado di incomprensibilità si riduce.

[torna alla prima parte]

Note

(7) Lozi, S., 2001, "La competenza nonverbale nell’interazione docente-studente", in Diadori, P. (a cura di), Insegnare italiano a stranieri, Le Monnier, Firenze: 64-74. torna al testo
(8) Humphris, C., 1998, "Nell’insegnamento comunicativo quanta attenzione viene posta alla comunicazione in classe?", cit., p. 9. torna al testo

(9) Fletcher, M., 2000, Teaching for Success. The BRAIN-friendly Revolution in Action, English Experience, Folkestone.                        torna al testo

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