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N. 2
giugno-luglio 2002
numeri precedenti


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L’organizzazione della scuola plurilingue e interculturale
Fiorenza Quercioli

1. Introduzione

Come si ritiene già da qualche tempo, di fronte alla presenza sempre crescente di alunni stranieri nella scuola dell'obbligo, l'istituzione scolastica deve prepararsi a dare risposte anche pratiche, che risolvano in modo rapido ed appropriato i problemi contingenti che possono presentarsi. È evidente infatti che l’assetto tradizionale delle nostre scuole, basato su una certa omogeneità linguistica e culturale degli allievi, non risponde più alle esigenze di una popolazione scolastica divenuta nel frattempo sempre più multiculturale. Se ammettiamo che sia ormai superata la fase dell’emergenza (1)  in cui la scuola, impreparata per mancanza di esperienza ad accogliere gli alunni stranieri, procedeva per tentativi spesso grazie alla buona volontà dei suoi insegnanti, dobbiamo concludere che sia venuto il momento di strutturare le esperienze pratiche e le indicazioni teoriche che nel frattempo si sono prodotte, all’interno dell’organizzazione scolastica.

D’altra parte un'azione didattica efficace non può attuarsi in un ambiente confuso e incerto, al contrario deve innestarsi su un programma chiaro e definito che sostenga l'apprendimento della lingua seconda e l'integrazione degli allievi stranieri all'interno della comunità scolastica. Ogni scuola deve predisporre quindi un percorso scandito da tappe che grosso modo corrispondano alle fasi dell’acquisizione linguistica e individuare delle figure professionali, delle competenze didattiche a cui spetti la gestione dei vari momenti dell’inserimento degli alunni stranieri nelle classi curricolari (2). Se sappiamo cosa fare e come farlo, il nostro intervento risulterà più sollecito e meno frustrante per tutti; tuttavia non dobbiamo dimenticare che, anche identificando nuovi ruoli didattici e formativi, è l’intero collegio dei docenti che dovrà occuparsi di dare risposte adeguate a questa come ad altre situazioni problematiche. Non è pensabile che, per esempio, una volta individuato un mediatore culturale, lo si utilizzi in classe per fare la traduzione delle spiegazioni, e identificare i docenti che possono occuparsi delle prime fasi dell’apprendimento della lingua seconda, non significa delegare a loro il problema, ma piuttosto collaborare con queste figure professionali per far sì che certe fasi si realizzino nel modo più proficuo possibile. Allo stesso modo, individuare una strategia per la gestione della classe plurilingue, non vuol dire trovare il toccasana a tutti i mali della classe: ogni strategia può funzionare benissimo con una classe e richiedere una revisione quando usata con un altro gruppo. All’interno della nuova organizzazione della scuola plurilingue e interculturale, l’insegnante deve avere una mentalità flessibile e collaborativa o si rischierà di procedere aridamente, per compartimenti stagno, magari pensando di essere di fronte a un problema senza soluzione.

In quest’ottica, di seguito individueremo e analizzeremo i momenti fondamentali dell’inserimento linguistico e sociale dell’alunno straniero negli istituti scolastici e nelle classi curricolari.

2. Accoglienza: non solo un problema linguistico

Al suo arrivo nella nuova scuola l’allievo straniero deve sentirsi atteso ed accettato e questo possiamo farlo soprattutto mettendolo in grado di capire che cosa ci si aspetta da lui e qual è il comportamento "normale" per gli altri allievi.

Sarà quindi opportuno che la scuola abbia a disposizione alcuni nominativi di mediatori culturali da far intervenire in questo e in altri momenti fondamentali della vita scolastica, anche per gestire le interazioni con la famiglia immigrata, che nel migliore dei casi parla poco e male la nostra lingua. Ogni istituto ha infatti un suo regolamento e una sua organizzazione interna che non sempre sono scontati per uno straniero. Predisporre delle traduzioni di questi documenti nella lingua madre degli allievi stranieri, facilita l’inserimento sociale dei bambini e delle loro famiglie e previene possibili tensioni all’interno delle classi e dei plessi scolastici. Ricordiamo a questo proposito che l’organizzazione della scuola e il tipo di relazioni che normalmente si instaurano fra allievi e insegnanti o fra genitori e insegnanti, non sono uguali in tutte le nazioni e in tutte le culture, per cui molto spesso l’alunno straniero non segue una determinata regola dell’istituto (italiano) in cui si trova, semplicemente perché non la conosce e non fa parte del suo sistema di riferimento.

L’atteggiamento della scuola, di fronte a queste infrazioni, può essere di due tipi: si decide di sanzionare l’inosservanza esattamente come si sarebbe fatto con un alunno italiano oppure si tende a passarci sopra perché, chiaramente, si ritiene che quel particolare studente non lo ha fatto volontariamente in quanto non poteva capire neanche che c’era una regola da rispettare. Entrambe queste reazioni non sembrano corrette, né verso i ragazzi stranieri né verso i ragazzi italiani e in effetti, di fronte al secondo caso, questi ultimi spesso si ribellano e non raramente giungono fino a dimostrare sentimenti di rabbia verso i loro coetanei non italofoni.

Se ci pensiamo bene questa risposta non è del tutto fuori luogo: come è possibile che bambini e adolescenti a cui si va ripetendo che per vivere civilmente insieme si devono rispettare delle regole, accettino poi che ci sia qualcuno che è autorizzato a non seguire le stesse regole che noi predichiamo? Ecco che i coetanei stranieri vengono visti come dei privilegiati da contrastare. E in più: la scuola dovrebbe avere anche il compito di insegnare a tutti una competenza sociale, ossia di preparare tutti, indistintamente, a vivere armoniosamente insieme, ma i messaggi che arrivano con queste due risposte presentano in ogni caso un aspetto negativo. Se il bambino straniero viene ripetutamente punito per trasgressioni che non poteva sapere di compiere in quanto all’oscuro delle regole, assumerà di trovarsi in un mondo ostile, dal quale deve difendersi e molto probabilmente tenderà a rinchiudersi in sé stesso e a nutrire sentimenti di ostilità verso la cultura "altra". Se invece la disobbedienza non viene fatta notare, lo stesso allievo immigrato potrebbe ritenere di non aver nessun obbligo di rispettare le regole proprio in quanto straniero sviluppando verso i compagni, di cui abbiamo già evidenziato la predisposizione negativa che può conseguirne, un atteggiamento sbruffone e poco socializzante.

Ma se l’alunno viene informato fin dal suo arrivo sulle norme che regolano la vita scolastica e se il mediatore culturale interviene in questa prima fase per chiarire e discutere con il bambino e con la sua famiglia i punti intorno ai quali si potrebbero produrre degli incidenti interculturali, non solo sarà molto probabile che anche gli allievi stranieri cerchino di attenersi al regolamento scolastico, ma in più ogni eventuale trasgressione potrà essere ripresa senza timore di creare frustrazioni o conflittualità all’interno della classe o dell’istituto. Se siamo d’accordo sul fatto che lo studente immigrato debba essere considerato, da tutti i punti di vista, uguale ai coetanei italiani, dobbiamo anche fare in modo che si crei l’ambiente sociale idoneo a realizzare questo obiettivo, mentre se continuiamo ad adottare i comportamenti sopra riportati, in ultima analisi lo faremo sentire sempre un diverso e questa percezione arriverà anche ai compagni che svilupperanno così un atteggiamento di emarginazione nei confronti del bambino straniero.

Ogni scuola è ormai in grado di fare delle previsioni abbastanza esatte sulle etnie maggiormente presenti al suo interno: basterà quindi predisporre delle traduzioni tenendo conto di questi dati e proprio i mediatori culturali sono i più adatti a compiere questo lavoro che servirà da punto di riferimento per la loro stessa opera di mediazione. Una volta predisposta e sperimentata la procedura da seguire, anche gli arrivi di allievi immigrati ad anno scolastico già iniziato saranno un problema più facilmente gestibile.

Il secondo bisogno dell’allievo appena arrivato riguarda senza dubbio l’apprendimento della lingua seconda e per far fronte a questa necessità le scuole hanno attivato al loro interno i laboratori linguistici. Abbiamo già parlato del tipo di azione didattica da attuare nel laboratorio linguistico (3), quindi adesso cercheremo di individuare i tempi di permanenza dei bambini nel laboratorio linguistico e la collocazione di questo spazio linguistico. Non sarà infatti superfluo ricordare che più che di un laboratorio linguistico chiuso e appartato, la nuova scuola plurilingue, ha bisogno di un’aula interculturale, aperta e in costante comunicazione con le classi curricolari, luogo deputato in cui le differenze vengono valorizzate e armonizzate. Dove si trovi fisicamente questo spazio assume allora un’importanza relativa, l’importante è che venga percepito come un luogo in cui si fa anche didattica interculturale e di cui fanno parte tutti gli allievi, italiani e stranieri.

Per quanto riguarda invece il tempo di permanenza dell’allievo straniero all’interno del laboratorio linguistico, diremo che il suo inserimento nella classe curricolare può essere promosso quasi da subito durante lo svolgimento di attività di tipo più pratico, che richiedono per esempio una dimostrazione visiva o un’attività fisica (4). Trattandosi comunque di allievi molto giovani e per giunta circondati da un ambiente ampiamente italofono, riteniamo che se sostenuto da un’azione didattica efficace, l’apprendimento della lingua seconda almeno al livello della comunicazione quotidiana, possa esaurirsi nell’arco di un anno scolastico. Un laboratorio linguistico per un livello principiante dovrebbe potersi svolgere almeno per sei ore alla settimana facendo sì che questi incontri vengano programmati in modo da non escludere il bambino da quelle attività di classe che potrebbe seguire anche con la poca competenza linguistica che possiede.

3. L’utilizzo di testi facilitati e semplificati: una transizione

Non è detto che l’allievo che ha sviluppato la competenza comunicativa di base necessaria per gestire le interazioni quotidiane, di per sé poco esigenti, abbia maturato anche la competenza linguistica indispensabile per affrontare i testi disciplinari, che al contrario richiedono una padronanza linguistica di tipo specialistico e in grado di sostenere lo sviluppo dei processi cognitivi inerenti allo studio delle materie scolastiche (5).

A questo punto l’alunno può quindi essere inserito nella classe curricolare, ma avrà bisogno che gli siano messi a disposizione dei testi di studio semplificati e facilitati che gli permettano di capire i contenuti veicolati dalla lingua seconda senza eccessivi sforzi o frustrazioni.

Non ci soffermeremo sui criteri da seguire per la preparazione di questi testi, su cui molto è già stato detto (6), ma tenteremo di riflettere sulla validità linguistica e pedagogica di questa operazione di facilitazione e semplificazione.

Da un lato tali testi rispondono a un bisogno linguistico e sociale dell’allievo, che senza di essi non avrebbe la possibilità di misurarsi con le materie di studio e di impadronirsi dei contenuti disciplinari rimanendo così costantemente indietro rispetto ai compagni italofoni, ma dall’altro, a lungo andare, potrebbero non essere più stimolanti, non rappresentare più una sfida positiva per lo studente, che quindi non troverebbe più in essi la necessaria motivazione a progredire nell’acquisizione della lingua seconda.

Da un punto di vista psicologico, inoltre, il continuo utilizzo di testi semplificati e facilitati, potrebbe indurre il discente a ritenere di non essere all’altezza dei coetanei, vedendosi confinato in una posizione di costante diversità rispetto al resto della classe, che riesce più o meno bene a confrontarsi con i testi disciplinari senza grossi interventi da parte dell’insegnante.

I testi semplificati e facilitati devono quindi rappresentare una fase di transizione per l’allievo che, uscito dal momento dell’accoglienza, comincia a prendere parte a pieno titolo al lavoro che si svolge in classe e che viene gradatamente confrontato con la lingua delle materie scolastiche. Non utilizzarli significherebbe, a nostro avviso, porre l’allievo di fronte ad un compito ingestibile perché la sua competenza linguistica, a questo punto, non può essere sufficiente per affrontare senza mediazioni lo studio disciplinare, ma continuare ad utilizzarli per troppo tempo, quando ormai si capisce che il discente riesce a dominarli con una certa facilità, sarebbe controproducente sia da un punto di vista linguistico che pedagogico. L’utilizzo dei testi semplificati e facilitati è appunto un momento di transizione verso la piena integrazione dell’allievo straniero all’interno della classe e questo deve restare. Starà alla sensibilità dell’insegnante capire quando si può passare alla fase successiva, in cui l’allievo viene integrato completamente nella classe.

4. La gestione della classe plurilingue: un problema di strategie didattiche.

La vera sfida, sia per l’alunno che per l’insegnante, inizia proprio adesso, quando la competenza comunicativa del discente si è avviata verso lo sviluppo della lingua dello studio. È questo il momento più delicato, in cui le inevitabili difficoltà potrebbero inibire irrimediabilmente i progressi linguistici e il rendimento scolastico. È quindi a questo punto che all’insegnante curricolare viene richiesto l’impiego di strategie didattiche nuove, basate sull’analisi della classe e in grado di favorire la crescita culturale dell’alunno straniero senza trascurare il resto del gruppo.

Riteniamo infatti che all’interno di ogni gruppo-classe l’allievo straniero non sia il solo ed unico discente ad avere problemi a studiare le materie disciplinari, anche se talvolta sembra il contrario, e che questo dato di fatto debba guidare l’insegnante nell’individuazione di modalità didattiche che possano rappresentare un’occasione di arricchimento per tutta la classe. A nostro parere i principi della Content-based Language Instruction, esposti già nel precedente numero come fondamentali per l’organizzazione didattica del laboratorio linguistico, possono offrire interessanti indicazioni anche in questo senso e aiutarci a scoprire una serie di attività, molte delle quali da svolgere in gruppo, che possono risultare stimolanti per tutta la classe e in cui tutti possono trovare beneficio. Abbiamo già discusso dettagliatamente in altra sede i vantaggi di una strategia didattica fondata su questi assunti teorici (7), per cui ci limiteremo ora a sottolinearne l’importanza all’interno di un programma didattico di insegnamento della lingua seconda che miri seriamente a dare a tutti gli allievi le stesse opportunità di successo scolastico, qualsiasi sia la loro provenienza e la loro etnia.

Solo quando questo obiettivo si sarà realizzato potremo considerare armoniosamente concluso il percorso dell’allievo straniero verso l’integrazione scolastica e sociale.

Note

(1) Cfr. Jafrancesco, E. (a cura di): Intercultura e insegnamento dell’Italiano a immigrati: oltre l’emergenza, Atti del IX Convegno I.L.S.A., Firenze, Tipografia Comunale, 2001. torna al testo
(2) Siamo consapevoli del fatto che molto spesso le scuole devono fare i conti con la carenza di organico, ma in base alla legislazione vigente può essere richiesto personale aggiuntivo se nella scuola si raggiunge il 10% di presenze di alunni stranieri e in molti casi, quando questa condizione non si realizza, le amministrazioni comunali, opportunamente sensibilizzate, intervengono con fondi propri.
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(3) Cfr. "Didattica e classe plurilingue", n. 1, aprile-maggio 2002.
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(4) Cfr. Luise, M.C.: L’Italiano per lo studio e il successo scolastico,
http://helios.unive.it/~aliasve/moduli.html.
(5) Secondo lo studioso canadese J. Cummins, la lingua si sviluppa su due livelli: il primo che chiama Basic Interpersonal Communicative Skills (BICS) riguarda la comunicazione quotidiana, mentre il secondo che definisce Cognitive Academic Language Proficiency (CALP), è indispensabile per studiare.
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(6) Cfr. fra l’altro, l’articolo di Elisabetta Jafrancesco sul numero precedente di questo bollettino.
(7) Cfr. Quercioli, F.: Dall’insegnamento della lingua basato sui contenuti alla gestione della classe plurilingue: un’ipotesi didattica, in "SeLM" (Scuola e Lingue Moderne), 5-2002.
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Riferimenti bibliografici

BALBONI, P. E. : Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale, Marsilio, Venezia, 1999.
CUMMINS, J. e SWAIN, M.: Bilingualism in Education, Addison Wesley Longman Limited, N.Y., 1986.
CUMMINS, J.: Language, Power and Pedagogy, Multilingual Matters LTD, 2000.
FAVARO, G. (a cura di): Imparare l’italiano imparare in italiano, Guerini e Associati, Milano, 1999.
JAFRANCESCO, E.: (a cura di): Intercultura e insegnamento dell’Italiano a immigrati: oltre l’emergenza, Atti del IX Convegno I.L.S.A., Firenze, Tipografia Comunale, 2001.

JAFRANCESCO, E.: L’abilità di lettura: leggibilità di un testo e proposte di facilitazione
in "Didattica e classe plurilingue", n.1, aprile-maggio 2002
LUISE, M.C.: L’Italiano per lo studio e il successo scolastico,
http://helios.unive.it/~aliasve/
MADDII, L.: L’accoglienza degli alunni stranieri: questioni e proposte in: "Iter on line – La scuola altrove", http://www.treccani.it/iteronline2002, marzo 2002.
QUERCIOLI, F.: Dall’insegnamento della lingua basato sui contenuti alla gestione della classe plurilingue: un’ipotesi didattica, in "SeLM" (Scuola e Lingue Moderne), 5-2002.

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