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N.1
aprile-maggio 2002


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La Cina è vicina: manuale di sopravvivenza per insegnare in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi
Lucia Maddii (IRRE Toscana)

L'esperienza personale

Ho lavorato per circa dieci anni in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi in un paese, S. Donnino, alla periferia nord di Firenze. Nel plesso dove mi trovavo ad insegnare la percentuale di alunni stranieri era (nel 1999) del 33%, vale a dire un bambino su tre, in quella scuola, era di origine cinese, ma la classe nella quale ho lavorato era composta da 10 bambini italiani e 10 bambini cinesi. Chiaramente il numero di alunni stranieri rimaneva più o meno lo stesso nel corso dell’anno, ma potevano cambiare i bambini poiché alcuni arrivavano, ma altri si trasferivano in altre città. La situazione della classe era abbastanza complessa sia per i numerosi livelli sia per la "mobilità" dei componenti. Si comprende bene come fare insegnamento utilizzando metodologie "tradizionali" sia stato praticamente impossibile a meno che non avessi deciso di fare lezione a due o tre bambini soltanto.

Non vorrei comunque concentrarmi in questo momento sulle soluzioni organizzative adottate (1). Vorrei invece fornire alcune indicazioni molto pratiche a partire dai problemi più comuni che si incontrano lavorando con alunni cinesi.

L'alta concentrazione

La prima particolarità è che non vi è una distribuzione omogenea dei cittadini cinesi sul territorio, ma si registrano forti concentrazioni in alcune zone e una totale assenza, o quasi, nelle altre: a Firenze, ad esempio, vi sono scuole con 70/80 alunni cinesi e altre scuole, situate anche in zone vicine alle prime, ne hanno solo uno o due di questa nazionalità.

L'alta concentrazione presenta aspetti positivi e negativi: da una parte vi è il rischio che gli alunni cinesi possano formare all'interno della classe un gruppo a sé (ma questo succede solo se non si pone attenzione anche alla socializzazione), dall'altra vi sono maggiori possibilità e minori problemi per attivare laboratori bilingui o corsi per il mantenimento della lingua e della cultura di origine, cosa che presenta maggiori difficoltà in classi con più lingue e culture.

Proprio per questa tendenza a riunirsi formando delle comunità, ritengo poco opportune iniziative che separano per molto tempo i bambini cinesi dal resto della classe; gli alunni devono invece sentirsi subito parte del gruppo e devono essere messi in grado di partecipare a tutte le attività: solo in questo modo è possibile evitare la costituzione di gruppettini isolati che apprendono più difficilmente la lingua e il modo di vivere italiano.

L'iscrizione

Il nuovo alunno arriva in segreteria accompagnato da un genitore e spesso da un parente che sa un po’ di italiano: la comunicazione, anche se è presente "l'interprete", avviene con difficoltà e si ha spesso la sensazione che non abbiano capito tutto. Talvolta i genitori scelgono senza aver chiare le opzioni offerte e questo succede in particolare per la religione cattolica: anche se è vero che i genitori possono scegliere l'educazione religiosa perché desiderano che i loro figli conoscano questo aspetto della cultura italiana, e sono convinti che rappresenti comunque una specie di "educazione morale", non so quanto siano chiare per loro le alternative offerte (è capitato talvolta che i genitori di prima e seconda elementare abbiano scelto l'opzione "studio individuale"!).

Per questi motivo è necessario creare strumenti bilingui, per far conoscere la scuola italiana e comunicare con le famiglie, e stabilire tutta una serie di procedure che prevedano la presenza di un mediatore al momento dell’iscrizione o, successivamente, al colloquio conoscitivo che andrebbe organizzato per avere notizie del bambino (es. anni di scuola, problemi alimentari ecc.)

L'arrivo in classe

I bambini cinesi, come tutti i nuovi arrivati, non amano sentirsi sotto i riflettori e anche nei mesi successivi difficilmente interverranno o racconteranno spontaneamente aspetti del proprio paese; a volte le domande degli insegnanti, desiderosi di stimolare la partecipazione del nuovo arrivato, possono provocare ulteriore imbarazzo poiché è probabile che non sappiano rispondere o che non vogliano evidenziare, in quel momento, le differenze con il resto della classe. Consiglierei dunque di non intervenire direttamente chiedendo informazioni al bambino, ma aspettare che il bambino, spontaneamente inizi a raccontare. Se abbiamo creato il clima adatto, ad un certo punto succede…

Fateli sentire attesi (ad esempio anche preparando semplicemente il loro posto) e facenti parte della classe; sono sufficienti piccole attenzioni: aggiungeteli nelle liste degli incarichi, nei cartellini sopra gli appendiabiti, nei gruppi di lavoro… anche se non capiscono una parola di italiano non importa, proprio la non conoscenza di una lingua porta a porre maggiore attenzione ai segnali non linguistici. I bambini si accorgono dei minimi particolari…

I piccoli linguisti, i piccoli geografi e antropologi

Non date per scontata la conoscenza della lingua nazionale e soprattutto della lingua scritta: ricordo che occorrono quasi 4/5 anni di scuola per riuscire a leggere un giornale. Per questo possono non sapere, ad es., tradurre un brano cinese.

Altra cosa che si verifica spesso è il disorientamento del bambino alla richiesta di ricercare la Cina sulla carta geografica: questo può dipendere da una diversa impostazione grafica delle cartine cinesi, dal ricercare il proprio paese in una cartina in lingua italiana e infine dalla semplice non conoscenza. Non so quanti bambini italiani riuscirebbero a trovare l’Italia in una cartina cinese….

Non date per scontata nemmeno la conoscenza degli usi dei costumi del proprio paese: molti sono partiti dalla Cina quando erano molto piccoli (e non dimentichiamo che ogni zona ha comunque le proprie tradizioni). Le famiglie, quando sono in Italia, mantengono con difficoltà le abitudini e le usanze; può succedere anche che le feste "folcloriche", organizzate per le famiglie, possano essere disertate proprio dai cinesi che non le riconoscono come proprie o facenti parte di un mondo ormai passato o stereotipato (è come se ci invitassero alla festa dei mandolini….). Le abitudini, gli usi, la cultura di una famiglia cambiano con la migrazione, si contaminano, si "meticciano" con la cultura del luogo: per quanto le famiglie cinesi possano sembrare "incapsulate" nella società in realtà i mutamenti al loro interno sono talvolta sconvolgenti. 

Il nome

Altro "errore" che noi commettiamo spesso con il nuovo arrivato è quello di chiamare il bambino solo con il nome proprio: in Cina, al contrario, non ci si chiama mai per nome ma per cognome e nome o solo per cognome (sarebbe come rinnegare l’appartenenza ad una famiglia); anche all’interno del nucleo familiare si utilizzano appellativi affettuosi o il grado stesso di parentela (fratello minore, sorella maggiore….): per questa ragione può succedere che i bambini non sappiano il nome proprio dei genitori e soprattutto di nonni. Non interpretate dunque il loro "non so" come volontà di nascondere chissà quali situazioni illegali, ma come la manifestazione quotidiana di una cultura che dà molta più importanza alla appartenenza ad una famiglia e che definisce la persona in relazione agli altri e molto meno come singolo individuo.

Problemi legati alla comunicazione non verbale

Altri "incidenti interculturali", che possono succedere con i bambini e genitori cinesi, sono legati maggiormente alla comunicazione non verbale.

Legati alla gestualità. I bambini cinesi non sono abituati alla nostra gestualità piuttosto ricca e ampia e ne possono essere spaventati perché la interpretano come manifestazione di aggressività (se ci pensiamo bene in tutte le culture l’ampiezza e la quantità dei gesti aumenta se una persona è arrabbiata). Talvolta si vedono bambini nuovi arrivati che si fanno piccoli piccoli, pensando che il loro insegnante sia arrabbiato, mentre invece sta semplicemente spiegando (alla gestualità si deve aggiungere il nostro tono di voce che suona sempre troppo alto alle orecchie di questi bambini)

Legati alla mimica. Per noi occidentali i volti degli orientali risultano poco leggibili poiché il controllo sull’espressione facciale in queste culture è più alto rispetto alle nostre dove è permesso un maggiore permeabilità dei sentimenti: questo può essere letto come segno di riservatezza e/o come minore intensità dei sentimenti, ma non è certamente così. Un altro oggetto di incomprensione è lo sguardo abbassato, segno di rispetto, del bambino cinese quando viene rimproverato ("guardami negli occhi quando ti parlo" gli chiediamo invece) e il sorriso che viene utilizzato non solo per manifestare amicizia e assenso, ma anche nelle situazioni di imbarazzo, soprattutto quando non è possibile esprimere il proprio dissenso.

Legati alla prossemica. Il contatto fisico fra persone nella cultura cinese è molto più limitato: i bambini possono essere spaventati dalla tendenza degli insegnanti, e soprattutto delle insegnanti a coccolare gli alunni con abbracci e carezze, anzi può succedere che di fronte ad un tentativo di coccole si ritraggano spaventati. Non interpretate questo sfuggire al contatto come segno di possibili maltrattamenti, ma semplicemente attribuite questo comportamento al fatto che i bambini cinesi non sono abituati a questo tipo di "approccio" (soprattutto da parte di un insegnante) e che non riescono a leggerlo. Fra l’altro anche il contatto fisico fra genitori e figli (anche fra madre e figlio) viene molto ridotto dopo i tre anni di età, mentre nel periodo precedente il bambino vive in contatto quasi continuo con chi si occupa di lui (può essere la madre o la nonna). Un ragazzo di 10/11 anni, che ormai gode di una autonomia maggiore rispetto ai coetanei italiani, può essere infastidito dal vedersi trattato come un infante!

Conoscere le regole della classe

Ogni nuovo arrivato ha difficoltà a capire quali sono le regole della nuova scuola: queste in particolare sono le maggiori difficoltà per i bambini cinesi

La prima difficoltà riguarda il rapporto insegnante/alunno insegnante/classe: i bambini cinesi non sono abituati alla confidenza con la quale i compagni italiani si rivolgono all’insegnante, non sono abituati ai lavori di gruppo né alla gestione autonoma di spazi di lavoro. Per questa ragione all'inizio possono avere difficoltà nel lavorare insieme agli altri e possono restare anche ore con le braccia conserte in attesa di una nuova consegna da parte dell'insegnante. Nelle scuole cinesi è l'insegnante che dispone tutte le attività, dà nuovi compiti e l'alunno non può prendere iniziative autonome, l'alunno inoltre non può interrompere l'insegnante con domande, né può alzarsi per portare il compito finito, se non è l'insegnante stesso a richiederlo. I bambini cinesi che se ne stanno al proprio posto, che non fanno domande, che non si alzano per portare a correggere il compito, che non chiedono nuovi lavori e nemmeno si organizzano gli spazi morti, lo fanno semplicemente perché riportano le regole che hanno appreso nella scuola di origine e non perché sono "svogliati" o disinteressati allo studio.

Saper dire "no"

Io credo comunque che il più grande ostacolo per la comprensione sia il diverso uso della negazione: difficilmente un bambino, e soprattutto un genitore cinese, risponderà "no" alla richiesta di un insegnante, in particolare ad una domanda chiusa alla quale si può rispondere solo "sì" o "no".

"Hai capito?" chiede l'insegnante. "Sì" risponderà sicuramente il bambino, perché rispondere "no" sarebbe come dire al suo insegnante "non hai spiegato bene".

Chi ha lavorato con alunni cinesi sa bene quanto questo provochi incomprensioni e la formazione di atteggiamenti negativi: l'insegnante italiano sarà infastidito e penserà che i cinesi non sono persone sincere … Forse, ed è solo un'ipotesi provocatoria che non ho avuto modo di verificare, i genitori e gli alunni cinesi potrebbero essere infastiditi dalla nostra abitudine a fare domande con risposta chiusa, che non lasciano spazio all'interlocutore, il quale si trova costretto a dover rispondere sì per non recare offesa.

Lo status e il tempo

Altre occasioni di incomprensione riguardano invece il concetto di status e forse di tempo. Nella cultura cinese è la persona più anziana che gode maggior status nel gruppo: è preferibile dunque rivolgersi al più anziano per porre questioni anche se poi sarà il più giovane a rispondere. In un colloquio con i genitori sarebbe dunque più cortese rivolgersi al genitore (anche se non capisce l'italiano) e aspettare che sia il figlio a tradurre, piuttosto che parlare direttamente al bambino (anche se poi, come regola generale, occorrerebbe limitare il ricorso ai bambini per tradurre ai genitori)

Altra cosa che può verificarsi è il non rispetto degli orari scolastici sia in entrata che in uscita, che alcuni vorrebbero ricondurre ad una diversa concezione del tempo: io credo invece che questo caso sia dovuto molto semplicemente agli stravolgimenti dei ritmi di vita che le famiglie subiscono nella migrazione (turni di lavoro, difficoltà di organizzazione dei tempi, anche a causa dei lunghi spostamenti necessari per accompagnare i figli a scuola, poiché talvolta i bambini non riescono a iscriversi nella scuola vicino a casa…). Per quanto riguarda la frequente assenza dei genitori cinesi all'uscita dei figli essa è dovuto al fatto che i bambini cinesi godono di maggiore autonomia: in Cina si va a scuola da soli (i bambini talvolta fanno anche mezz'ora a piedi per raggiungere la scuola) e non è necessaria la presenza dei genitori all'uscita. Inoltre le difficoltà di organizzazione dei tempi e degli spostamenti può causare, come dicevo prima, ritardi cronici… In questo caso il colloquio con i genitori, in presenza di un mediatore, ha portato spesso a buoni risultati.

Stereotipi positivi e negativi

Infine occorre far conoscere e controllare non solo gli stereotipi negativi, ma anche a quelli positivi .Gli alunni cinesi godono fama di essere disciplinati, riservati, molto bravi in matematica e/o nelle attività manuali, ma la loro iniziale disciplina è dovuta, come accennavo poco sopra, a una riapplicazione di regole apprese nel Paese di origine: non è raro che dopo periodo iniziale di estrema "autodisciplina", i bambini si trasformino in dei monelli fino a che non riescono a trovare, in una fase ancora successiva, una misura. Agli occhi dei bambini cinesi, infatti, le nostre ricreazioni rumorose e caotiche, la libertà di movimento che godono i bambini nella classe, la possibilità di interrompere l'insegnante possono apparire come assenza di regole e non riescono a capire dove si situa il limite, che invece esiste ed è chiaro per la maggior parte dei bambini italiani (che infrangono le regole, generalmente, sapendo di farlo).

Per quanto riguarda l'attitudine alla matematica essa dipende in buona parte dal fatto che i programmi cinesi per questa materia sono più avanzati rispetto ai nostri: i bambini di terza elementare, ad esempio, si trovano ad eseguire compiti che i coetanei italiani affrontano un anno o due dopo. Nella scuola cinese, inoltre, si esercita molto il calcolo orale e per questo i bambini sono molto veloci nell'eseguire le operazioni. Per quanto riguarda invece le capacità manuali esse dipendono da una educazione artistica basata sulla copia di modelli (oltre al fatto che i bambini, soprattutto delle campagne, sono abituati a costruirsi i giochi): mentre noi lasciamo i bimbi esprimersi seguendo la loro "creatività" (e poi finiscono a fare il solito disegno della casina con l'albero) in Cina le capacità artistiche vengono sviluppate attraverso esercitazioni sistematiche e riproduzione di modelli; la possibilità di essere creativi è concessa dopo l'acquisizione degli strumenti e degli schemi.

Mi sono dilungata molto sugli stereotipi positivi perché sono meno controllabili dei negativi e possono lo stesso portare svantaggi al bambini straniero che non corrisponde a queste aspettative piuttosto alte: soprattutto se non hanno frequentato la scuola in Cina avrete in classe bambini cinesi indisciplinati, chiacchieroni, che non sanno fare matematica o piegare la carta (una buona parte degli alunni della mia scuola era così!). Avere aspettative alte che poi trovano disconferma nei fatti può portare ad una valutazione più "tiepida" dei risultati e dei progressi di questi bambini ed è per questo che vanno conosciuti e controllati.

(1) Rimando per approfondimenti al mio articolo "L'italiano seconda lingua. Riflessioni in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi" in Lend, XXVIII, 1, febbraio 1999, e al contributo "Percorsi didattici e strategie per favorire l'apprendimento dell'italiano in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi" presentato al Convegno Nazionale ILSA 2001 "La gestione della classe plurilingue nella scuola dell'obbligo", di prossima pubblicazione negli Atti.       torna al testo

 

© Didattica & Classe Plurilingue 2002