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N. 3
agosto-ottobre 2002
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La didattica per progetti nella gestione della classe plurilingue
Fiorenza Querciolii

1. Premessa

L’eterogeneità linguistica e culturale delle nostre classi invita oggi a individuare strategie didattiche in grado di gestire in modo produttivo i diversi livelli di competenza linguistico-culturale degli allievi, sebbene l’importanza dell’apprendimento individualizzato sia stata sottolineata da più parti ben prima che si presentasse la necessità di trovare adeguate soluzioni operative alle problematiche inerenti alla classe plurilingue. La maggiore attenzione accordata alla personalità dell’apprendente ha infatti portato all’elaborazione di una didattica centrata sul discente e, più significativo per noi, al riconoscimento che le specificità individuali e le preconoscenze acquisite nei vari saperi condizionano il ritmo di apprendimento dell’allievo, per cui ne consegue che il gruppo-classe viene percepito come uno spazio (fisico e mentale) angusto perché presuppone una compattezza che può risultare faticosa per alcuni, frustrante per altri. A questo proposito, converrà tener presente che la scansione didattica all’interno della classe molto spesso viene dettata dalla necessità di seguire e completare un certo programma ministeriale piuttosto che dalle reali caratteristiche degli allievi stessi che compongono il gruppo. Da un punto di vista strettamente linguistico, basterà poi ricordare che anche qualora ci si trovi a lavorare con una classe completamente di autoctoni, l’omogeneità linguistica - spesso data per scontata sulla sola base della condivisione della stessa lingua madre - non è per niente garantita, anzi molto spesso i docenti si trovano e si sono trovati a fare i conti, all’interno della stessa classe, con alunni con una discreta competenza linguistica e con altri che non sanno ancora padroneggiare il lessico tematico o certe strutture profonde della lingua.

In un certo senso la presenza di alunni figli di immigrati nelle nostre aule scolastiche ci spinge ad una riflessione metodologica che coinvolge anche gli allievi italofoni - come abbiamo visto sopra, per niente scevri da problemi linguistici - insieme al modo di organizzare le lezioni e in ultima analisi, di trasmettere il sapere. Torniamo a ribadire che una riflessione di questo genere è iniziata ormai da tempo, soprattutto (ma non solo) sulla spinta dei cambiamenti prodotti dall’uso delle nuove tecnologie che hanno radicalmente mutato - appunto - il modo di trasmettere e reperire informazioni e dall’esigenza sempre più avvertita di stabilire un collegamento costante fra mondo scolastico ed extrascolastico.

In effetti, secondo gli orientamenti più recenti della glottodidattica, è auspicabile che l’apprendimento della lingua non si limiti a mettere in gioco le sole facoltà intellettive del discente, ma che coinvolga l’intera persona dell’apprendente facendo quindi appello anche alla sua sfera fisica ed emotiva, tanto per citarne solo alcune. Il discente viene quindi visto nella sua interezza di persona, immerso in un’esperienza complessa come l’apprendimento di una lingua seconda e/o straniera, esperienza che in questo senso mira a divenire totale e significativa per il soggetto, che attraverso di essa dovrà impadronirsi di quella competenza di azione - più che semplicemente comunicativa - che gli permetterà di interagire in modo vincente usando la lingua (1).

In quest’ottica la classe non può più essere il luogo deputato per l’insegnamento e l’educazione linguistici (che stando alle disposizioni ministeriali dovrebbero pervadere tutto il curricolo e essere trasversali a tutte le discipline) perché i suoi confini fisici restringono il campo esperenziale dello studente. La classe può al massimo essere lo spazio in cui si impostano attività linguistiche da sperimentare fuori e in un secondo momento il luogo in cui si analizzano i vari vissuti linguistici degli studenti per strutturarli in norme comunicative.

Tutto questo sembra particolarmente giusto quando ci si trovi a insegnare una lingua nel paese in cui si parla questa lingua, perché in questo caso il mondo fuori dall’aula offre un’enorme quantità di materiale autentico, certo per i nostri fini del tutto allo stato grezzo, ma che opportunamente utilizzato può costituire una fonte inesauribile per le attività linguistiche.

D’altro canto, quello che principalmente si richiede oggi ad un buon insegnante è una certa flessibilità metodologica che prima di tutto si traduce nella capacità di progettare percorsi didattici flessibili e articolati in grado di soddisfare i bisogni e gli interessi individuali dei discenti. E questo è, fra l’altro, anche l’orientamento didattico suggerito dal Framework (Quadro comune europeo per le lingue) che introducendo il concetto di "competenza parziale", induce a dilatare i confini tradizionali delle aule scolastiche e a identificare modalità di insegnamento basate proprio sul riconoscimento dell’eterogeneità linguistica, culturale e disciplinare delle nostre classi, eterogeneità non più sentita, come in passato, come un peso da evitare o eliminare, ma come un dato di fatto da valorizzare per dare a tutti l’opportunità di imparare secondo i propri bisogni e il proprio stile di apprendimento (2).

2. La didattica per progetti o project work

Si tratta a questo punto di individuare una metodologia didattica in grado di fornire all’insegnante validi suggerimenti per attuare quanto abbiamo descritto sopra e a nostro avviso, fra le molte proposte, la didattica per progetti o project work, è sicuramente una delle più appropriate.

Originariamente elaborato nell’ambito della ricerca didattica anglosassone, il project work ha fra l’altro ispirato nella seconda metà degli anni novanta l’organizzazione didattica di libri di testo per l’insegnamento della lingua inglese a bambini, generalmente basati sulla narrazione di una storia che ha per protagonisti alcuni personaggi fissi le cui avventure si dipanano nel corso del libro e nelle quali sono attivamente coinvolti gli alunni. La curiosità che naturalmente si innesca nei discenti nel seguire le avventure di personaggi vicini al loro mondo reale e fantastico, funge da molla alla motivazione ad apprendere i contenuti linguistici che sono veicolati attraverso i vari episodi e che al tempo stesso serviranno per proseguire nella narrazione (3).

Secondo questa metodologia infatti si parte da un elemento - che può essere un tema, un personaggio, un testo, una situazione - che poi verrà approfondito durante il lavoro in classe e individualmente impostando su di esso diversi tipi di attività che implichino l’uso di diverse fonti e di diversi media per favorire lo sviluppo delle diverse abilità linguistiche e cognitive e l’acquisizione di una o più competenze disciplinari.

Nell’ottica di questo approccio è assolutamente fondamentale che siano gli studenti stessi a determinare il prodotto a cui vorranno arrivare e che può essere una raccolta di racconti brevi, una rappresentazione teatrale, la produzione di un video o la preparazione di un articolo per un giornale che poi sarà comunque presentato ad un pubblico composto dall’intero collegio dei docenti e dai genitori e semplicemente da altri studenti dell’istituto. Tutto questo significa che in questo ambito non può più trovare spazio il sillabo determinato a priori e che per quanto sia essenziale arrivare alla realizzazione del prodotto, il processo che ne determinerà l’attuazione assume una rilevanza superiore perché, attraverso attività di problem solving, permetterà agli allievi di acquisire una serie di capacità - come selezionare informazioni, fare ipotesi, comunicare i risultati, predisporre questionari, dialogare con esperti - che sono al tempo stesso linguistiche e transdisciplinari. L’insegnante quindi, partendo da un’analisi dei bisogni e delle risorse degli studenti, deve lanciare degli input e fra questi gli allievi dovranno decidere su quale o su quali focalizzare il loro lavoro. Una volta individuato il punto di partenza, si procede proponendo via via delle attività che portino gli allievi a confrontarsi con varie fonti di informazioni (per esempio la visione di un film o una ricerca su Internet, ma anche interviste a persone che possono fornire materiale inedito o di prima mano sull’argomento in esame) e che favoriscano l’uso delle varie abilità linguistiche.

Durante le fasi di lavoro fuori dall’aula, ognuno può, nell’ambito del compito assegnato, seguire il percorso che più gli si addice, e farlo alla velocità richiesta dalle sue competenze generali e dal suo livello effettivo di competenza linguistica. Gli incontri in classe, organizzati in gruppi di cinque o sei studenti al massimo, devono servire principalmente per fare il punto della situazione, per confrontare i risultati individuali e dei vari gruppi, arrivare ad una visione condivisa da tutti e infine, sulla base di questi dati, definire l’attività successiva. In questo modo da un lato si possono facilmente predisporre percorsi individualizzati, magari basati sul recupero o sul rinforzo di certi aspetti linguistici, e dall’altro il lavoro di gruppo può rappresentare un’ottima occasione di crescita individuale attraverso il confronto e la collaborazione con gli altri partecipanti.

Completamente centrata sullo studente, che, essendo continuamente chiamato a fare delle scelte, viene reso protagonista responsabile del proprio apprendimento, la didattica per progetti permette di valorizzare le differenze e le risorse individuali in un continuo collegamento fra l’ambiente artificiale della scuola e quello reale del mondo fuori dall’aula promuovendo l’autonomia e l’acquisizione di un metodo di studio applicabile anche al di fuori del contesto dell’istruzione formalizzata, nell’ambito del life long learning.

Prevedendo una scansione didattica in cui si alternano momenti di lavoro individuale e di gruppo, la metodologia del project work da un lato permette di progettare percorsi di apprendimento individualizzati e dall’altro favorisce l’instaurarsi di una mentalità collaborativa e cooperativa all’interno della classe. Come si può facilmente evincere da quanto fin qui esposto, il ruolo dell’insegnante deve essere quello di guida e supervisore dell’intero processo: il docente infatti non dà mai niente per scontato, al contrario lascia spesso che siano gli studenti stessi a decidere la direzione da dare al progetto invitando e stimolando il gruppo a una continua negoziazione dei contenuti e dei significati.

La didattica per progetti non deve però necessariamante sostituire l’intero sillabo. Al contrario, si può organizzare un progetto che si esaurisca in poche ore o uno che, come un filo rosso, attraversi tutto il corso e che si affianchi ad altri lavori più tradizionali. In generale si è notato che i progetti che funzionano di più, sono quelli che si innescano intorno ad un’attività di classe che ha particolarmente suscitato l’interesse degli studenti, che si snodano a più riprese su ampie porzioni del corso e che coinvolgono più discipline.

3. Conclusione

Se crediamo veramente che la didattica per progetti possa essere un valido strumento didattico in generale e glottodidattico in particolare, il primo compito che ci aspetta, e che d’altra parte sembra ormai urgente assolvere, riguarda il nostro modo di porci, come insegnanti, di fronte ai nostri allievi. Non più dispensatori di un sapere parcellizzato e in larga parte teorico, lontano ormai anni luce dalla nostra realtà storica, culturale e lavorativa, ma promotori di una fusione fra sapere, saper fare e saper essere (per citare ancora una volta il Framework) che armonizzi le differenze e dia a tutti la possibilità di imparare un metodo di studio e di crescita personale che sarà suo patrimonio per sempre. Si tratta in sintesi di imparare l’arte di decentrarsi per restituire agli studenti l’autodeterminazione e la responsabilità del loro apprendimento.

Non partecipare attivamente al lavoro dei nostri allievi non significa lasciare che il gruppo-classe vada alla deriva. Significa osservare, da supervisori attenti, dall’esterno, quasi senza essere visti, utilizzando griglie predisposte per questo scopo e che possano fornire materiale per una riflessione pedagogica.

Essendo basata sul riconoscimento delle peculiarità individuali e sulla valorizzazione degli aspetti collaborativi legati al lavoro di gruppo, la didattica per progetti offre senza dubbio la possibilità di tradurre in prassi tutte le istanze della moderna ricerca glottodidattica e della pedagogia interculturale.

Note

(1) Cfr. Ciliberti 1994, in particolare le pagg. 88-96. torna al testo
(2) Cfr. Mazzotta 2002. torna al testo
(3) Si veda, a puro titolo esemplificativo, la serie I-Spy - Corso di Inglese per la scuola elementare di J. Ashworth, J. Clark, C. Lawday , edita dalle case editrici O.U.P. e La Nuova Italia. torna al testo

Riferimenti bibliografici

Amati, A., La didattica per progetti: una strategia di rinnovamento, in "Strumenti Cres", maggio 1998.
Ciliberti, A. 1994. Manuale di Glottodidattica, La Nuova Italia, Firenze.
Dolci, R., Celentin P. (a cura di) 2000.  La formazione di base del docente di Italiano per stranieri, Bonacci, Roma.
Mazzotta, P., Le direttive della Comunità Europea per l’insegnamento delle lingue, Le lingue straniere in una visione moderna dell’educazione linguistica; in Mazzotta, P. (a cura di) 2002. Europa, Lingue e Istruzione Primaria. Pluralismo per il bambino italiano-europeo, UTET, Torino.
Morin, E. 2000. La testa ben fatta; Cortina, Milano.
Quartapelle, F. (a cura di) 1999. Didattica per progetti, Franco Angeli, Milano.
Vedovelli, M. 2002. Guida all’Italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue, Carocci, Roma.

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© Didattica & Classe Plurilingue 2002