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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 6
maggio-agosto 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


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"Sorellina" va a scuola
Maria Omodeo

Il suo nome tradotto in italiano significa "Sorellina". Arriva in Italia a metà maggio, accompagnata dal fratellino di quattro anni più grande che la guarda con timore e ammirazione e dai due giovani genitori, sorridentemente determinati a far cominciare al più presto la scuola a lei e al fratello. Il dirigente scolastico della scuola dove si presenta la famigliola cinese cerca subito una prima elementare in cui iscriverla, mentre la bimba sta lì sorridente, mano nella mano a turno con il padre, il fratello, la madre, mentre questi tentano di comunicare, un po’ a gesti e un po’ con l’interpretariato via telefono. Finalmente, il giorno dopo, il padre la accompagna per il suo primo giorno di scuola: appare subito evidente un cambiamento di registro, la bimba comincia a urlare, dibattersi, si avvinghia al cancello. Il padre resta nei dintorni mentre le urla della bambina (di potenza degna di quella di una grande cantante) impediscono all’insegnante di classe non solo di fare lezione, ma addirittura di tentare una qualche sorta di socializzazione. Il dirigente scolastico chiama il Centro di alfabetizzazione "Gandhi" per sapere se c’è un operatore bilingue disponibile ad andare per concordare con il padre una strategia d’inserimento meno traumatica. Mi presento alla scuola e la bimba, con il padre ed il fratello accanto, è sorridente e serena, affettuosa anche con me, tanto che mi si siede in braccio e si mette a disegnare. Il padre ci racconta che nella prima metà dell’anno scolastico la nonna, con cui i due fratellini vivevano da anni in attesa del ricongiungimento familiare, aveva tentato di mandarla a scuola, ma "Sorellina" si era comportata esattamente allo stesso modo, urlando, piangendo e impedendo a tutta la classe di fare lezione. Dopo quattro settimane di tentativi falliti, la nonna aveva deciso che si trattava di un’impresa superiore alle sue energie ed aveva così comunicato che la nipotina avrebbe cominciato ad andare a scuola una volta ottenuto il ricongiungimento in Italia, tanto più che questo sembrava imminente. Intanto il fratello finiva le elementari con successo.

La "trattativa" sulle modalità di inserimento nella nuova scuola italiana la conduce sostanzialmente "Sorellina": andrà a scuola, ma solo se ci andrà anche suo fratello, a cui la scuola media ha confermato l’iscrizione in prima a partire dal settembre successivo, dato che l’anno scolastico sta finendo. Il dirigente scolastico delle elementari accoglie l’iscrizione in quinta elementare per l’ultimo scorcio di anno scolastico in corso. Il padre è ben felice dell’opportunità, avendo osservato che ad aumentare all’angoscia da separazione manifestata dalla bimba c’è il fatto che è quasi l’unica allieva d’origine cinese della scuola. Il ragazzino a sua volta è felice di imparare un po’ d’italiano prima di entrare alle medie. Viene così concordato che il giorno dopo i due fratellini torneranno a scuola, che due volte la settimana verranno al Centro "Gandhi" per i laboratori bilingui e che frequenteranno i corsi intensivi post-scuola di giugno e pre-scuola di settembre organizzati presso il Centro. "Sorellina" in modo serio promette che non farà altre scenate e che frequenterà con costanza.

Osservo che "Sorellina" parla un ottimo cinese nazionale, migliore di quello del fratello e dei genitori, che hanno forti influenze dialettali. Quando chiedo al padre come sia possibile una pronuncia così perfetta, lui mi risponde che a casa della nonna la bimba passava tante ore davanti alla TV. Forse gratificata dal complimento per la sua buona pronuncia in cinese nazionale, "Sorellina" ogni tanto ripete qualche parola italiana che sente dal dirigente scolastico e da me: ha un orecchio straordinario.

Ma la mattina dopo la scena si ripete: "Sorellina" grida e piange avvinghiata ad una gamba del padre sempre più avvilito. Per incoraggiarlo gli diciamo che è normale che nei primi giorni di scuola i bambini piangano e altre banalità che la bimba contraddice non appena il padre si allontana; ottiene urlando di andare nella classe del fratello e istantaneamente smette di urlare: è raggiante e comincia a girare per tutti i banchi guardando cosa fanno i compagni, toccando le loro cose, scatenando la loro ansia ad un mese dall’esame di quinta. Ogni giorno la scena si ripete identica, a parte qualche tentativo fallimentare di far accompagnare dal fratello la bimba nella sua prima, dove tutti la aspettano con entusiasmo. No, non è là che vuole stare, scappa via dalla classe, fa il diavolo a quattro. Nei giorni in cui viene al Centro "Gandhi" dimostra subito tempra di leader, una prontezza straordinaria nel capire le situazioni, un intuito linguistico incredibile, superando in poco tempo tutti gli allievi venuti prima di lei, pur mantenendo il suo comportamento ipercinetico.

Chiediamo appoggio ad una maestra cinese distaccata a Firenze nell’ambito di un gemellaggio fra scuole sostenuto dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione: durante un corso di aggiornamento ha detto che ciò che dà la forza ad un insegnante cinese – che ha mediamente 50 alunni in classe - di essere contento di averne qualcuno "molto indisciplinato" è il fatto che di solito sono quelli che imparano meglio e più in fretta. La maestra cinese ed una operatrice bilingue del Centro si alternano in classe per permettere alla quinta di andare avanti con le lezioni e in prima di non riaprire dinamiche di ansia fra gli alunni, da poco superate. Le cose vanno meglio, anche se "Sorellina" continua a non riuscire a stare ferma ed anche se ogni volta che la maestra cinese o l’operatrice bilingue si allontanano lei rimane alla finestra con aria disperata finché non arriva il padre a prenderla.

Non appena comincia il corso quotidiano post-scuola nella seconda metà di giugno al Centro Gandhi, "Sorellina" conquista tutti, divenendo un po’ la mascotte collettiva - anche nel senso che è molto difficile convincerla a rimanere nel suo gruppo. Il fratello alterna momenti di forte disagio per il comportamento "scorretto" della sorella, di cui si sente responsabile, a momenti di ancora più forte disagio perché lei dopo poco più di un mese comunica abbastanza bene in italiano ed ha perfino imparato a scrivere parole sotto dettatura, mentre lui, più taciturno, ha ancora grosse difficoltà.

A settembre, nel pre-scuola al Centro le cose hanno più o meno lo stesso decorso, ma appena ricomincia la scuola è obbligatoria la presenza dell’operatrice bilingue in classe, perché altrimenti non è possibile contenere le urla e i tentativi di fuga di "Sorellina", tanto più che il fratello, finalmente affrancatosi, è passato alla scuola media. Un po’ per volta l’orario della operatrice bilingue in classe diminuisce e "Sorellina" è ormai amica indiscussa di tutti in classe. Il suo percorso di prima alfabetizzazione presso il Centro dura ancora pochi mesi, grazie alla sua straordinaria capacità di comunicare in qualsiasi lingua con cui entra in contatto.

Ho portato questo esempio come provocazione nei confronti di un atteggiamento frequente che vede nell’appartenenza "etnica" una uniformità di reazioni, comportamenti, caratteristiche: nei bambini cinesi calmi e quasi dimessi si vede la norma, sembra una contraddizione assurda incontrarne uno ipercinetico. Anche sulle competenze nascono luoghi comuni: dato che i bambini e i ragazzi d’origine cinese che hanno frequentato le scuole nel loro Paese hanno seguito un programma di matematica molto avanzato, si è diffusa l’idea che tutti i bambini cinesi siano bravi in matematica. Quando se ne incontra uno che invece non la apprezza o non la capisce, non solo ciò provoca stupore, ma anche lo si valuta più negativamente che se fosse stato italiano. La pazienza, come la predisposizione alla matematica sono considerati quasi imprinting razziali e non gli effetti di processi educativi, di predisposizioni ed interessi individuali. Se un bambino di una determinata origine ha avuto percorsi scolastici accidentati, o comunque differenti dalla maggioranza dei suoi coetanei, per forza di cose non corrisponde all’idea stereotipata che ci eravamo formati empiricamente con altri allievi che avevano seguito percorsi più standard.

Al di là della provocazione, questo esempio ci è anche utile per capire quanto può essere flessibile la risposta dei vari Centri di Alfabetizzazione in lingua italiana della rete formata dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione di Firenze, la Direzione Regionale agli Studi, i Consigli di Quartiere ed un vasto numero di associazioni e cooperative.

Il Centro di alfabetizzazione Gandhi, a cui fa riferimento l’esempio riportato, opera nel Quartiere n° 5 del Comune di Firenze, caratterizzato dalla numerosità di inserimenti di allievi giunti in corso d’anno dai paesi d’origine e da un’altissima percentuale di allievi cinesi. Infatti, oltre il 70 % degli allievi seguiti nei percorsi di prima e seconda alfabetizzazione dagli operatori del Centro è di questa origine.[indietro]

Il Centro è gestito dall’associazione Cospe e dalla cooperativa "Il Pozzo", che hanno competenze complementari: il Cospe nel tempo si è specializzato nella promozione del bilinguismo fra gli allievi d’origine straniera, sia con laboratori linguistici ad hoc, sia con il supporto della multimedialità (nel Centro è operativo un laboratorio informatico ben attrezzato), sia con la creazione di moduli didattici, ritagliati su misura delle specifiche necessità dei gruppi di allievi seguiti. La cooperativa "Il Pozzo", dal canto suo, non solo conduce da anni laboratori di alfabetizzazione per gli allievi d’origine straniera della zona delle Piagge e di Brozzi, ma soprattutto mette in campo la sua profonda conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche, utile per favorire un’inclusione dei nuovi giovani cittadini del quartiere.

Per rispondere alle difficoltà di apprendimento dell’italiano come seconda lingua da parte di bambini e ragazzi di madrelingua cinese, lingua che presenta caratteristiche tanto lontane dall’italiano, utilizziamo la metodologia del laboratorio bilingue. Bambini e ragazzi che ancora non padroneggiano l’italiano, vengono divisi in piccoli gruppi provenienti da più scuole, cercando il più possibile di rispettare quattro criteri di omogeneità: competenze in L2, competenze in L1, età e percorsi scolastici pregressi. Viene poi proposto un tema di studio cercando di catturare l’interesse dei ragazzi: ad esempio una ricerca sugli animali rari, o sulla storia dei mezzi di trasporto, o su un altro tema concordato con gli insegnanti delle classi frequentate dagli alunni. Si cerca di fare forza sulla lingua meglio padroneggiata da ognuno affinché dia il suo contributo, per dimostrare che tutto può essere detto anche in L2, a qualunque livello di approfondimento. Non si tratta naturalmente di insegnare ai ragazzi a tradurre dalla propria lingua all’italiano, che provocherebbe pericolose fossilizzazioni di errori sintattici e grammaticali per influenza della L1: cerchiamo piuttosto di creare un ambiente comunicativo, in cui il motore primo del coraggio di provare a parlare - anche se ancora in modo non impeccabile – parte dalla voglia di raccontare esperienze specifiche, conoscenze che i compagni di classe non hanno, condividere percorsi di ricerca comune.

La creazione di un contesto comunicativo è tanto più complesso quanto più sono grandi i bambini: se per "Sorellina" le doti individuali di comunicativa e l’età sono di grande aiuto perché l’acquisizione dell’italiano avvenga in modo quasi spontaneo, per suo fratello il percorso sarà più lungo e complesso, a causa sia del carattere sia dell’età. Come tanti altri ragazzi delle scuole medie, gli viene istintivo pensare che uno studio formalizzato, che parte dalla grammatica e da una banca di parole nuove sia l’unico metodo per imparare. Purtroppo non è così: non automaticamente chi era un ottimo e studiosissimo allievo di scuola cinese (o marocchina, o albanese…) ha ottime performance linguistiche in L2. Vedere d’altro canto che anche le competenze acquisite nella scuola d’origine (lingua compresa, quindi) sono valorizzate e valutate positivamente nella scuola italiana come lo erano nella scuola d’origine, può rassicurare anche gli allievi con maggiori difficoltà linguistiche ed avviare un positivo processo di autostima. D’altro canto, poter affrontare approfondimenti concettuali in lingua madre permette di non "perdere terreno" rispetto ai compagni di studio autoctoni. L’importante è trovare l’aggancio fra quanto viene approfondito nei laboratori linguistici e quanto viene studiato in classe: se l’allievo che ancora non parla bene l’italiano si trova a dover sostenere una interrogazione di scienze o di storia analoga a quella dei suoi compagni autoctoni, emergeranno le sue inadeguatezze e i compagni focalizzeranno su queste la loro attenzione: potranno aiutarlo o prenderlo in giro; sia la reazione positiva sia quella negativa determinano comunque nell’allievo d’origine straniera un senso di esclusione e inadeguatezza. Ipotizziamo ora che cosa succede invece quando l’allievo presenta alla classe qualcosa di nuovo. I compagni di classe si trovano a vivere con interesse i contenuti di prima mano e si distraggono dai difetti di pronuncia o dagli errori di grammatica. Se poi l’argomento è poco noto anche all’insegnante, anch’egli non si troverà a simulare un interesse per approfondirlo, ma contribuirà a sua volta in modo naturale alla costruzione del contesto comunicativo.

Email omodeo@cospe-fi.it