Fai conoscere questo bollettino a colleghi e amici.

sunbul3d.gif (118 byte)sunbul3d.gif (118 byte)sunbul3d.gif (118 byte)

Se vuoi ricevere un avviso a ogni nuova uscita del bollettino clicca qui.

sunbul3d.gif (118 byte)sunbul3d.gif (118 byte)sunbul3d.gif (118 byte)

Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 7
settembre-dicembre 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


blank.gif (43 byte)
blank.gif (43 byte)
Insegnanti di tutto il mondo: informatevi!
Diane Musumeci, Breaking Tradition: An Exploration of the Historical Relationship between Theory and Practice in Second Language Teaching, McGraw Hill, 1997

Dal 1970 in poi si è assistito ad un interesse sempre crescente per la glottodidattica e tutto ciò che precede questa data viene etichettato in genere come metodo "grammaticale traduttivo"… ma il passato di questa professione è veramente così monolitico? E soprattutto: l'insegnamento di una L2 è davvero un fenomeno esclusivo del ventesimo secolo (evolutosi dal comportamentismo agli approcci comunicativi)?

L’autrice parte da queste domande ed invita a riflettere su ciò che comunemente viene definito "metodo tradizionale". Con l’intento di ampliare la prospettiva si tuffa nei secoli passati (il Quattrocento, il Cinquecento e il Seicento). Esplorando le opere di Guarino Guarini, Ignazio di Loyola e Giovanni Comenio, pedagogisti e riformatori, Musumeci indaga sul legame tra teoria glottodidattica e applicazione pratica. Infine riflette sul destino delle innovazioni e sul presente, su cosa fa o non fa scattare una modifica radicale nel modo di pensare degli insegnanti.

Tratteggerò ora in breve le linee principali del pensiero dei tre umanisti.

Guarino Guarini (1374-1460)
Guarino Guarini era un dotto veronese, traduttore e precettore dei prìncipi della casa d’Este, famoso in Italia ed Europa come docente di greco e latino. In un’epoca caratterizzata dalla riscoperta dei classici e dall’uso del latino per comunicare a livello internazionale tra dotti europei, Guarini introdusse il curricolo degli studia humanitatis, la cui finalità si sposta dal semplice essere in grado di copiare gli autori classici alla loro comprensione-interpretazione
(1).

Qual era il metodo di Guarini, tanto lodato per la sua efficacia di docente? Guarini non ha lasciato un corpus di pedagogia, ma solo lettere ai suoi allievi; il figlio Battista però ne ha trasmesso i pensieri in un documento dal titolo De ordine docendi et discendi del 1459. Battista, filologo e traduttore, parlava con scioltezza latino e greco ed era stato anch’egli allievo del padre.

Musumeci mette in evidenza le differenze tra i due, la prima delle quali consiste proprio nella decisione del padre di non scrivere un trattato pedagogico, mentre il figlio era convinto che il suo dovere di insegnante fosse quello di fornire delle linee direttive.

Entrambi convengono sull’apprendimento del latino come lingua viva ed enfatizzano la priorità del significato sulla forma grammaticale, consonante con la finalità degli studia humanitatis, che miravano a sviluppare non solo le capacità ricettive, ma anche quelle espressive. Tuttavia Battista parla sempre di regole, ordine, norme, metodo, precetti, precisione e correzione, mentre Guarini riempie le sue lettere di consigli personali e raccomandazioni.

Mentre il padre era un insegnante eccellente, affezionato, interessato ai suoi studenti, preoccupato di rendere piacevole l’insegnamento e di essere più una guida che un direttore, Battista era invece pedante e interessato più al metodo, alle regole ed all’ordine che alle persone e ai loro bisogni.

Le teorie di Guarini sono consonanti con quelle moderne secondo le quali l’apprendimento avviene a stadi e la competenza linguistica emerge lentamente ed in modo non ordinato: pur avendo scritto una grammatica ("Regulae"), non nomina quasi mai lo studio delle regole come condizione di sviluppo nell’apprendimento linguistico, al contrario consiglia di immergersi nella lettura dei testi originali come metodo migliore per apprendere una lingua. Egli offre anche delle strategie interattive di lettura e di scrittura incredibilmente moderne (2). Battista di contro dedica una lunga sezione alle regole fondamentali che assicurano la correttezza e il parlare in modo scorrevole. Egli è convinto che la pratica e la ripetizione (in termini odierni explicit instruction e drills) siano necessarie e che sia fondamentale evitare fin dall’inizio che gli studenti facciano errori declinando nomi e coniugando verbi. Battista considerava l’insegnamento come poliziesco e l’apprendimento come lineare – negando evidenza a interlingua e stadi di sviluppo.

Secondo Battista – anche qui i due sono su posizioni opposte – l’insegnante è responsabile dell’apprendimento dei discenti, atteggiamento oggi per fortuna rivisto da una visione più "ecologica" dell’insegnamento, che vede entrambi le parti (insegnante e discenti) come responsabili e l’insegnante non più come direttore, ma come guida, facilitatore, mediatore interculturale o risorsa.

Alla morte di Guarini, coloro che seguirono i precetti del De ordine docendi, adottarono in realtà le idee di Battista, non quelle dell’illustre padre, che rimasero praticamente quasi sconosciute.

Ignazio di Loyola (1491-1556)
Lo sfondo su cui agisce Ignazio di Loyola è diverso: nel Cinquecento le varie lingue nazionali europee si andavano cristallizzando così come gli stati europei e il latino non era più la lingua di prestigio per avanzare nella carriera. La nascente borghesia voleva tuttavia fare apprendere il latino ai suoi figli, perché, sebbene non fosse più lingua di normale comunicazione, era pur sempre associata alla Chiesa cattolica.

Ignazio di Loyola, convertitosi dopo una ferita di guerra alla difesa degli ideali religiosi, creò un sistema educativo che guadagnò fama e rispetto fin nei secoli successivi. I suoi tentativi di imparare il latino ebbero dei buoni risultati solo quando iniziò a studiare filosofia a Parigi in un programma in cui "si insegnavano le lingue antiche secondo il metodo dei più avanzati umanisti italiani" (enfasi sui testi classici come base per un uso comunicativo della lingua).

Ignazio di Loyola aveva il piano molto ambizioso di fondare collegi gesuiti in tutta Europa. A questo proposito scrisse tra il 1547 e il 1550 nelle Costituzioni le linee guida che sarebbero servite da riferimento per rendere uniforme ogni collegio.

Il suo contributo all’educazione occidentale non sta nel contenuto del suo curricolo (egli adottò essenzialmente quello di Guarini), ma nella programmazione e nell’organizzazione dettagliata degli studi, con piccole classi in cui l’insegnante poteva individualizzare l’insegnamento e tutto era un supporto all’apprendimento, inclusa la ricreazione.

Le letture erano in latino e la grammatica veniva appresa attraverso lo studio di storia, scienza, matematica, poesia e retorica. Per lo sviluppo delle abilità espressive era prevista la frequenza quotidiana di lezioni in latino e l’uso del latino per comunicare e scambiarsi idee in discussioni di gruppo, riassunti orali e composizioni. Ignazio di Loyola propugna l’immersione totale in una L2 e vede nel compito dell’insegnante quello di selezionare materiale motivante e interessante e di incoraggiare i discenti a interagire con i contenuti (3).

Tuttavia, se questa era la teoria di Ignazio, come base del curricolo gesuita non fu seguito il piano di Loyola, ma ne fu seguito un altro, basato sulla Ratio Studiorum, iniziata 32 anni dopo la pubblicazione delle Costituzioni. La Ratio non è opera di un singolo autore, ma il frutto di rettori, insegnanti e membri della Società del Gesù (4).  La Ratio riduce tutto a regole, elimina le giustificazioni e spiegazioni invece abbondanti nelle Costituzioni e precisa tutti i dettagli che Loyola aveva intenzionalmente lasciato aperti per rendere flessibile il sistema.

Mentre Ignazio aveva programmato un’immersione totale nel latino, la Ratio prevede che si usi il latino solo in classe, solo tra gli studenti avanzati e solo per uno uso scritto: l’uso della madrelingua si diffuse e spiazzò il latino. Gli incontri settimanali di Ignazio per esercitarsi oralmente vennero ridotti drasticamente a due volte all’anno. Il latino divenne un sistema di precetti e non un sistema di comunicazione.

Mentre il metodo umanista credeva che attraverso il contenuto di una materia si imparasse anche la lingua, per gli autori della Ratio si doveva prima imparare il latino, studiando regole di grammatica per tre anni e senza leggere gli autori classici. Al terzo anno, in cui si presupponeva che avessero una conoscenza completa della grammatica, i discenti continuavano a tradurre tutto e la spiegazione in latino veniva seguita immediatamente da quella in madrelingua. Anche la ripetizione di frasi a memoria, aborrita dagli umanisti, divenne una pratica ben vista e raccomandata dalla Ratio.

Il fatto di non usare il latino come unica lingua di comunicazione ebbe un effetto devastante sullo sviluppo delle abilità espressive.

Giovanni Comenio (1592-1670)
In un clima di radicali cambiamenti intellettuali
(5), il nuovo razionalismo scientifico minò l’autorità degli autori classici e della tradizione. L’obiettivo umanista di salvare il latino non avrebbe potuto comunque realizzarsi per via dei nascenti interessi nazionalistici, mal compatibili con una lingua internazionale. Tuttavia, secondo la Musumeci uno dei fattori che sicuramente portò al declino del latino è da vedere proprio nel metodo di insegnamento usato, centrato sulla traduzione e sull’uso della lingua madre durante la lezione. Il latino si continuò a studiare, ma non fu più lingua di interazione.

La visione riformatrice di Giovanni Comenio fu di portata ancor più grande rispetto a quella di Loyola, in quanto egli scrisse programmi per tutti i livelli scolastici, dai più bassi fino all’università. Comenio ricorda di aver imparato il latino studiando regole ed irregolarità senza capire nulla: se questo non servì a imparare il latino, risultò poi fondamentale per i suoi propositi di riformare un sistema inefficiente e trovare un modo più facile e piacevole di insegnare. Egli criticò fortemente il metodo allora attuale di far precedere l’insegnamento di una lingua all’insegnamento di altre materie. Secondo Comenio invece l’insegnamento della lingua deve essere accompagnato da un "insegnamento in cose" (materie scolastiche). La teoria didattica di Comenio sembra coincidere con quella di Guarini e Loyola: le lingue si imparano usandole come mezzo attraverso il quale acquisire conoscenza e quindi per la loro utilità pratica.

Tuttavia Comenio è pieno di contraddizioni, che l’autrice mette in evidenza.

Egli riteneva che cominciare con la grammatica – e non con qualche autore – confondesse i discenti; convinto che nessuna lingua si impari attraverso la grammatica, vide la soluzione nell’unire il contenuto alla lingua e nell’offrire più esempi e meno precetti e soprattutto materiale più appropriato all’età e più fondato pedagogicamente. A tal proposito scrisse alcuni libri di testo, tra cui Janua linguarum reserata, un libro che ebbe allora un successo straordinario, organizzato in frasi (1000 in totale) in progressione sintattica e attorno a temi pratici per facilitare la comprensione (tuttavia le frasi latine apparivano insieme al loro equivalente nella madrelingua).

Dal momento che gli insegnanti lamentavano che il libro fosse troppo difficile per gli studenti, Comenio scrisse una versione semplificata, il Vestibulum, in cui 427 frasi semplici in latino presentavano il lessico più comune (1000 parole contro le 8000 del Janua); in una versione successiva al Vestibulum, Comenio arrivò a semplificare ulteriormente, compilando liste di parole in latino e italiano, suggerendo che i discenti devono padroneggiare la grammatica prima di procedere al contenuto e finendo così col contraddire ciò che aveva affermato prima sulla necessità di imparare "fatti" in lingua straniera.

Oltre a libri di testo egli scrisse anche Regole per lo studio delle lingue, una delle quali consigliava di studiare prima la lingua madre, poi le lingue di paesi confinanti e solo dopo le lingue morte (6).

In un’altra regola afferma che le lingue non vanno imparate con regole di grammatica, che sono per lo più ostacoli. Tuttavia più avanti contraddice quanto appena detto perché raccomanda lo studio delle regole. Se da una parte critica le ripetizioni e le memorizzazioni, dall’altra la programmazione di una lezione prevede la ripetizione esatta di ciò che aveva detto l’insegnante, con gli stessi esempi e spiegazioni (7).

Progressista nelle sue idee di insegnare anche ai meno intellettualmente dotati e moderno perché propugnava la scolarizzazione anche alle donne, egli vedeva tuttavia gli insegnanti come domatori di cavalli o come contenitori che riversano la loro conoscenza nella testa degli studenti come fossero "pagine bianche". Inoltre riteneva che l’insegnamento fosse possibile anche a gruppi di cento studenti … dove è andato a finire l’insegnamento individualizzato di Guarini e Loyola?

Conclusioni
Le teorie glottodidattiche di Guarini, di Loyola e di Comenio vedevano la lingua come sistema di comunicazione e propugnavano lo sviluppo di abilità funzionali nella L2. Ciò che le accomunava era il sillabo basato sull’interpretazione di testi interessanti e autentici, l’uso della L2 fin dall’inizio e l’idea innovatrice che i discenti possono acquisire il contenuto di una materia prima di padroneggiare tutte le complessità di una lingua. Tuttavia i metodologi che poi scrissero i manuali per gli insegnanti, raccomandarono cose del tutto diverse e per tutto il Settecento e l’Ottocento lo studio del latino e delle altre lingue straniere fu costituito da regole, memorizzazione di vocaboli, declinazioni e coniugazioni, traduzioni ed esercizi... che non riflettono l’"altra" tradizione classica dell’insegnamento delle lingue rappresentata da Guarini e da Loyola. Trascurandola, secondo la Musumeci, si è perso il meglio dell’educazione occidentale.

La ricercatrice americana è una convinta sostenitrice del CLIL (Content and Language Integrated Learning o Content-Based Instruction) (8), un approccio formatosi in Canada nel 1965 sulla scia di un insegnamento linguistico orientato all’uso pratico della lingua e diffusosi anche in Nord America e Inghilterra negli ultimi quaranta anni. I programmi basati sul CLIL sono caratterizzati dall’insegnamento di contenuti, ad es. geografia, matematica, sociologia ecc. nella L2, quindi dall’uso della lingua come mezzo per imparare e non come oggetto di analisi. Essi hanno una chiara matrice teorica nella linguistica applicata e negli studi sull’acquisizione linguistica. Hanno inoltre dimostrato come l’intreccio di lingua e contenuto costituisca una condizione privilegiata per raggiungere alti gradi di competenza linguistica e come l’acquisizione della lingua avvenga "incidentalmente, strada facendo".

Un merito dell’autrice - oltre a quello di aver investigato un passato così poco conosciuto - è innanzitutto quello di far riflettere sul destino delle innovazioni pedagogiche. La sua tesi finale è che il problema della didattica di una L2 non è risolto e che il destino dell’attuale approccio comunicativo minaccia di subire la stessa sorte delle idee innovatrici dei tre umanisti, perché nel momento in cui si promuovono come "comunicative" pratiche didattiche che fanno della grammatica il principio organizzativo dell’apprendimento linguistico, avviene in realtà uno storpiamento dell’idea originale. La convinzione che dal livello di conoscenze grammaticali dei discenti dipenda il loro agire e la loro interazione con i testi autentici ha infatti ostacolato la riforma (9) e ha lasciato lo status quo.

Nelle affermazioni di Musumeci riecheggia la posizione di gran parte di ricercatori e linguisti americani, i quali già dagli anni ’70 hanno contribuito a enucleare i veri principi comunicativi e a definire nel concetto di Competenza Comunicativa   (10) altre capacità ugualmente indispensabili: Sociolinguistica o Pragmatica, Strategica, del Discorso e Linguistica (11).

Da un certo punto di vista potrebbe sembrare che il libro della Musumeci si inserisca nella dicotomia di fondo che divide la teoria dell’insegnamento linguistico in due visioni differenti dell’acquisizione linguistica, una basata sulla conoscenza di strutture grammaticali e l’altra più sull’uso funzionale e autentico della lingua. Ma ciò non renderebbe giustizia ad alcuni aspetti importanti del libro: innanzitutto il far riflettere sull’importanza dell’insegnamento veramente comunicativo soprattutto in alcuni contesti particolari. Potrà sembrare superfluo soffermarsi su questo aspetto, ma se si pensa che l’italiano all’estero (in cui i discenti condividono la madrelingua) viene ancora oggi insegnato spesso nella loro madrelingua – privando quindi i discenti dell’input indispensabile per progredire nella L2 – allora questa riflessione non è affatto secondaria. In contesti di lingua straniera, l’insegnante comunica spesso nella madrelingua e se tali tentativi sembrano apparentemente rendere la lezione più veloce ed efficiente, in realtà i discenti vengono privati di opportunità vitali e intralciati nel loro bisogno di sviluppare la competenza nella L2. In quei contesti si assiste secondo la Musumeci all’incapacità dell’insegnante di gestire l’uso esclusivo della L2 (12).

Riportare la tesi della Musumeci alla dicotomia grammatica vs. comunicazione autentica non renderebbe giustizia neanche alla posizione dell’autrice che riflette sulla natura delle innovazioni in ambienti istituzionali e si rifà all’indagine di Fullan del 1992 sui cambiamenti (su come si realizzano o non si realizzano). L'idea è che siano centrali cambiamenti in tre aree affinché nuove pratiche didattiche e metodologiche abbiano successo nelle scuole: metodo, materiale (13) e pensiero. La vera innovazione richiede anche e soprattutto una modifica radicale nel modo di pensare degli insegnanti: l’insegnamento linguistico sarà veramente comunicativo quando sarà davvero centrato sull’"interpretazione, espressione e negoziazione di significato" (14).

Tutto ciò è indubbiamente vero, ma la confusione degli insegnanti continua ad essere enorme (15), bombardati da materiali e metodi che vogliono essere sempre più "nuovi", abbandonati alle varie teorie che ciclicamente sembrano darsi il cambio ed in fondo sempre insoddisfatti e frustrati dagli stessi problemi pratici. Purtroppo il problema della resistenza degli insegnanti all’innovazione è sviluppato troppo poco dall’autrice. Convenendo che l’interlingua dei discenti costituisce il vero problema sia per la valutazione che per la programmazione e che la linguistica applicata ha appena iniziato ad affrontare il problema, la Musumeci conclude giustamente ma troppo brevemente che l’innovazione significa alterazioni profonde nel comportamento/pensiero degli insegnanti e si limita ad auspicare una professione "più informata".

Le informazioni non mancano, anzi gli insegnanti ne sono bombardati e se certe vecchie convinzioni persistono è perché, come evidenzia Porcelli (1994), "le false sicurezze che la grammatica tradizionale sembra offrire fanno apparire inutile un cambiamento di rotta". Se, come sostiene l’autrice, la responsabilità di portare avanti questo compito educativo è della linguistica applicata, ciò che manca è la mediazione tra la ricerca della linguistica applicata e gli insegnanti (16). Infatti i risultati di tante recenti e importanti ricerche in linguistica applicata non lasciano l’ambiente accademico e non raggiungono proprio coloro che ne trarrebbero beneficio. Sicuramente l’informazione per la nostra professione è fondamentale, come pensa Musumeci, ma è anche responsabilità degli istituti che hanno un ruolo primario nella formazione portare la formazione e l’aggiornamento a un livello più alto (17), presentando le tendenze della ricerca e le loro implicazioni didattiche e accrescendo così la consapevolezza negli insegnanti. Più pubblicazioni e corsi di formazione concepiti specificamente per gli insegnanti sono quindi auspicabili: venire a conoscenza di molte recenti "scoperte" della ricerca e soprattutto delle loro implicazioni pratiche faciliterebbe a mio avviso l’abbandono di pratiche didattiche incompatibili con i veri principi dell’approccio comunicativo.

Elena Gallo

Note
(1) I contenuti degli studia humanitatis erano: storia, eloquenza e grammatica (intesa non come regole ma come arte di scrivere in modo appropriato ed efficace), oltre a filosofia, poesia, scienza e aritmetica. torna al testo
(2) Per la lettura promuove l’interazione col testo e l’aggancio dei nuovi contenuti alla propria enciclopedia, consigliando di non bloccarsi davanti ad una parola sconosciuta e di leggere la prima volta un testo nuovo filtrandone l’idea generale. ("cerca dapprima di afferrare il senso generale; riassumilo e sintetizzalo in una unica idea; "usa la tua conoscenza e ricapitola mentalmente ciò che hai letto; non procedere parola per parola, ma presta attenzione al significato"). Per lo sviluppo delle abilità espressive Guarini propone brainstorming, organizzazione delle idee e verifica, e invita a tener ben presente a chi si rivolge lo scritto (il lettore implicito) sia nello stile, sia usando un’introduzione.
torna al testo
(3)
Parallelamente sottolinea il ruolo attivo e la responsabilità dei discenti nel prepararsi e nel chiedere chiarimenti su punti non compresi bene.
torna al testo
(4) Dopo molte revisioni divenne definitiva dal 1599 e non fu più ritoccata fino al 1832.
torna al testo
(5) Con Galilei e Keplero si era affermata la nuova scienza; la Bibbia veniva ora tradotta e poteva esser letta e interpretata individualmente non più in latino ma nella propria lingua.
torna al testo
(6) Latino, greco ed ebraico, apprendibili rispettivamente in due anni, un anno e sei mesi.
torna al testo
(7) Queste osservazioni sulle ripetizioni furono spesso citate negli anni ’60 dai sostenitori dell’approccio audiolinguale in cui l’imitazione esatta del modello era necessaria al progresso linguistico degli studenti.
torna al testo
(8) Per una base di letture sull’argomento rimando a Brinton, D., M.A. Snow e M. Wesche, Content-based Second Language Instruction, Boston 1989, Heinle & Heinle Publ. e Krueger M. e F. Ryan (Ed.), Language and Content, Lexington 1993, D.C. Heath and Co. torna al testo

(9)  Diversamente, i riformatori erano preoccupati solo che le letture fossero adatte all’età (interessi) e non al numero di anni in cui avevano studiato la lingua.
torna al testo
(10) Focus sulla comunicazione e non sulla grammatica, selezione e organizzazione del materiale in base ai contenuti e ai bisogni dei discenti e non in base a criteri linguistici, accettazione di rischi, incomprensioni e imprevisti. Cfr. Ciliberti 1994.
torna al testo
(11) Competenza Sociolinguistica o Pragmatica (regole per interagire in modo appropriato in diversi contest), Strategica (come ovviare a blake-out nella comunicazione sfruttando tutte le risorse linguistiche a disposizione), del Discorso (regole di coesione e coerenza) e Linguistica (regole grammaticali). La Competenza Comunicativa include la capacità di applicare regole, ma prevede anche un comportamento adeguato al contesto. 
torna al testo
(12) Si pensi inoltre all’esperienza di Comenio: gli insegnanti che dovevano adottare i testi di Comenio, incontravano difficoltà ad implementarli a livelli elementari, per i quali erano invece stati concepiti e richiesero una revisione radicale del materiale. L’innovazione non trovò impiego nei materiali. torna al testo

(13) La Ratio dei gesuiti dimostra che la pratica in classe si riduce a un compendio di regole e a un soffocante prescrittivismo se viene privata dai suoi sostegni teorici: il metodo senza la teoria non garantisce l’innovazione! Il ruolo dei materiali continua a rimanere sospetto quando essi manifestano una costante insistenza su un sillabo grammaticale (gli obiettivi linguistici rimangono ancora espressi in termini di strutture grammaticali che gli studenti devono essere in grado di manipolare alla fine di un corso).
torna al testo
(14) Molta ricerca soprattutto americana, enfatizza la comunicazione del messaggio e non la correttezza grammaticale ed è orientata alla promozione di capacità negoziative come condizione privilegiata dell’acquisizione di una L2. Due sono i modelli più autorevoli di acquisizione di una seconda lingua: il modello di input modificato di M. Long (1981) e quello di output modificato di M. Swain (1985). Il modello di input modificato o comprensibile rivede la tesi di Krashen (input come unico elemento essenziale per l’acquisizione di una L2) e postula che l’input è necessario ma insufficiente. Veramente determinante sono le modificazioni nel linguaggio di parlanti nativi o insegnanti quando i parlanti stranieri segnalano non-comprensione, quindi nel tentativo di risolvere eventuali rotture e di arrivare ad una reciproca compensione.Swain (1985) suggerisce invece che, nonostante l’input sia importantissimo, il progresso nell’apprendimento di una L2 deriva da un tipo di rifinitura continuo messo in moto dall’opportunità di modificare il proprio output, cioè la propria produzione linguistica. In questo modello il discente è la fonte del messaggio e l’insegnante segnala non-comprensione. In entrambi i modelli, la teoria postula la negoziazione di significato come cruciale per lo sviluppo della Competenza Comunicativa dei discenti verso uno standard nativo. Cfr. Musumeci Teacher-learner negotiation in content-based instruction: Communication at cross purposes? Applied Linguistics 17.3, 1996, pp. 286-325.
torna al testo
(15) Confusione citata da molti manuali (v. Porcelli, d’Addio Colosimo, solo per citarne alcuni).
torna al testo
(16) Già nel 1991 d’Addio Colosimo lamentava la mancanza di un anello di congiunzione.
torna al testo
(17) Cfr. d’Addio Colosimo 1991. torna al testo

Bibliografia
Ciliberti, A., Manuale di glottodidattica, Firenze, La Nuova Italia. 1994 (in particolare p. 83-96)
D’Addio Colosimo, W., Dalla ricerca teorica all’applicazione didattica: l’anello mancante, in: Glottodidattica e università, a cura di G. Porcelli e P. E. Balboni, Padova, Liviana Ed. 1991
Ellis, R., The Study of Second Language Acquisition, Oxford, Oxford University Press 1995
Johnson, K., Understanding communication in second language classrooms, Cambridge University Press 1995
Porcelli, G., Principi di glottodidattica, Brescia, La Scuola 1994
Swain, M., Communicative Competence: some roles of comprehensible input and comprehensible output int its development. In S. Gass & C. Madden (a cura di) Input in second language acquisition, pp. 235-253, Cambridge, Newbury House 1985. 

 

 

© Didattica & Classe Plurilingue 2002-03

Bollettino realizzato con il contributo del Quartiere 5 del Comune di Firenze