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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 5
gennaio-aprile 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


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Lo "strabismo" degli approcci umanistico-affettivi
Massimo Maggini

La storia dei metodi d’insegnamento delle lingue straniere ci ha spesso fornito una fotografia sfocata dei problemi dell’apprendimento linguistico. Talvolta ci si è concentrati sulle questioni inerenti il che cosa insegnare, altre volte si è invece messo l’accento sul come insegnare una seconda lingua. Emblematica in questo senso è la natura di quegli approcci didattici definiti dalla letteratura specialistica (1) come "approcci umanistico-affettivi" che verso la fine degli anni Sessanta si sono diffusi in Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti.
Se infatti pare auspicabile che un metodo d’insegnamento linguistico sappia focalizzare in eguale misura i problemi connessi ai contenuti linguistici e quelli collegati alle modalità e alle condizioni in cui avviene l’apprendimento, ciò non sembra valere in relazione agli approcci umanistico-affettivi che hanno enfatizzato le questioni che favoriscono una buona riuscita del processo di apprendimento linguistico, trascurando in alcuni casi i contenuti di apprendimento, in altri riproponendo strade tradizionali che male si conciliavano con il carattere innovativo della riflessione sul piano pedagogico e psicologico.
Il che cosa e il come insegnare presuppongono dei punti di riferimento per quanto concerne la teoria linguistica e la teoria dell’apprendimento. Talvolta nei metodi d’insegnamento tali riferimenti sono espliciti oppure impliciti, alcune volte sono assenti.
Nel caso degli approcci umanistico-affettivi possiamo ora cercare di mettere a fuoco aspetti sia distintivi, sia comuni sul piano di una teoria dell’apprendimento e di sottolineare l’esistenza o meno di precisi riferimenti sul piano della teoria della lingua.

Il Community Language Learning (CLL) è un metodo che si ispira alla psicologia umanistica di Carl Rogers e alla psicoterapia del Counseling da questi elaborata. È un gesuita americano, docente di psicologia, Charles A.Curran, il propugnatore del metodo. Trasferito sul piano pedagogico-linguistico il metodo suggerisce che il rapporto ottimale da instaurare tra insegnante e allievo è analogo a quello che si stabilisce fra counselor (il terapeuta) e il client. Il client in sede psicoterapeutica viene così equiparato all’apprendente in età adulta alle prese con i problemi dell’apprendimento di una seconda lingua.

L’attenzione è quindi concentrata sulla sfera affettiva del discente, l’eliminazione o almeno l’attenuazione di ogni motivo di stress e ansia è la preoccupazione principale di questo metodo così come di tutti gli altri approcci umanistico-affettivi. Il leitmotiv di tutti questi metodi è costituito infatti dalla difesa della sfera psico-affettiva dell’apprendente straniero; al centro di ogni riflessione sono le condizioni in cui avviene l’apprendimento linguistico, gli ostacoli che si potrebbero frapporre nei percorsi formativi e il ruolo svolto da chi impara una nuova lingua.

Ma che cosa propone di innovativo sul piano della pedagogia linguistica il Community Language Learning? Si prevedono cinque fasi durante le quali gli studenti acquisiscono maggiore autonomia e padronanza nella lingua oggetto di studio. Durante le prime tre fasi però il discente è aiutato dall’insegnante in quanto la conversazione fra gli apprendenti non è diretta, ma mediata dal docente di lingua mediante la traduzione. I discenti formulano i messaggi nella loro lingua madre che vengono tradotti nella lingua d’arrivo dall’insegnante. I messaggi in forma di chunks (2) vengono ripetuti agli altri studenti. Tali messaggi vengono registrati, ascoltati e successivamente trascritti. La trascrizione che costituisce il "testo" su cui fare lavorare successivamente tutta la classe contiene le parole nella L2 con accanto la traduzione delle parole equivalenti nella lingua madre.

La lingua parlata ha quindi l’assoluta priorità, il codice scritto risulta in questo modo relegato ai margini della pratica pedagogica. Sono gli studenti a determinare i contenuti dei loro dialoghi, sono i loro interessi a guidare la loro attività linguistica. Ma il metodo per buona parte del processo di apprendimento del discente principiante, a cui si rivolge prevalentemente tale approccio, adotta la procedura del code switching.

Si ritorna dunque nella pratica didattica al periodo che ha preceduto il metodo diretto. Il quadro di riferimento è costituito dall’educazione bilingue.

Il Total Physical Response, altro metodo affettivo, è stato ideato negli anni Sessanta da James J. Asher, professore di psicologia all’Università di S.José in California. Anche in questo metodo sono presenti le preoccupazioni inerenti il filtro affettivo dell’apprendente straniero.

Per abbassare il livello di ansia e di stress Asher teorizza un apprendimento della L2 simile a quello naturale della lingua madre da parte del bambino. Secondo questa prospettiva di infantilizzazione del processo di acquisizione linguistica diventano prioritarie da una parte l’ abilità di comprensione orale e dall’altra la pragmatica, cioè l’esecuzione di azioni fisiche.

Infatti il fulcro del metodo è costituito da comandi impartiti dall’insegnante mediante la forma grammaticale dell’imperativo e dalla comprensione dei discenti effettuata tramite l’esecuzione di azioni fisiche. In tale ottica la comprensione orale è basilare e precede l’espressione orale che dovrà manifestarsi solo quando il discente si sentirà pronto. Anche quest’ultimo aspetto è comune a buona parte degli approcci umanistico-affettivi: non forzare l’allievo a parlare, rispettare i tempi individuali di apprendimento sono diventate sicuramente delle raccomandazioni pedagogiche molto seguite dagli insegnanti di lingua.

Asher non esclude altre attività linguistiche, altre tecniche didattiche da associare al suo metodo, soprattutto per i livelli più avanzati di competenza linguistica allorché si ripropongono attività di drammatizzazione (role-play), esercitazioni di fine-tuning mirate al perfezionamento delle competenze fonologiche, morfologiche e sintattiche della L2.

Rimane però il tratto dominante della sua metodologia di lavoro in classe: impartire dei comandi che devono essere eseguiti medianti azioni corporee.

In questo modo non sono i bisogni linguistici degli allievi a determinare i contenuti di apprendimento, ma le scelte dell’insegnante espresse in classe medianti comandi impartiti.
Lo studente deve solo eseguire e così facendo verificare la propria comprensione auditiva.
In questo schema di lavoro possono essere rinvenute delle tracce di pensiero neo-comportamentista allorché si attivano meccanismi semiautomatici di stimolo e risposta.

Asher non esclude l’apprendimento di altre strutture grammaticali come, ad esempio, gli altri tempi verbali oltre al fondamentale imperativo, ma le inserisce in modo alquanto artificiale all’interno della cornice prescrittiva che informa tutto il metodo. Quindi quando impartisce i comandi l’insegnante può fare in modo che il suo discorso regolativo contenga anche tutte le strutture grammaticali della L2 che il discente deve acquisire progressivamente.

Il lessico viene suddiviso tra parole astratte e concrete, quest’ultime vengono mostrate con immagini e collegate alle azioni che i discenti devono eseguire.
Le parole astratte vengono insegnate come se fossero concrete, vengono scritte in L1 e in L2 sui i due lati di un cartoncino e inserite all’interno dei moduli prescrittivi impartiti dall’insegnante.

Ci pare poco scientifica questa suddivisione del lessico operata da Asher, ma soprattutto l’aspetto più debole del suo metodo ci sembra essere la riduzione semantica e funzionale operata dal discorso prescrittivo dell’insegnante. Anche le azioni eseguite dai discenti hanno un riferimento spaziale, temporale e contenutistico assai limitato. Sicuramente il metodo, che viene propugnato per tutti i tipi di discente, ci pare più appropriato per i bambini all’interno di una cornice ludica, anche se permangono lo stesso le forti perplessità manifestate nelle righe precedenti.

Anche quando il metodo contiene dei suggerimenti e delle riflessioni interessanti, meritevoli di un loro ulteriore sviluppo, come, ad esempio, la suddivisione operata da Asher delle unità linguistiche in macrostrutture o chunks, tutto viene inficiato dalla riduzione dell’attività pedagogica di classe all’associazione fra comandi verbali e movimenti fisici.

Asher ritiene che la lingua d’arrivo venga interiorizzata meglio a livello di chunks, piuttosto che a livello di singoli elementi discreti di tipo grammaticale o lessicale. Attraverso le macrostrutture, porzioni più estese di lingua, è possibile secondo lo studioso ottenere una più rapida assimilazione della L2.

Il metodo suggestopedico elaborato dal medico psichiatra bulgaro Georgi Lozanov è fra gli approcci umanistici quello più originale e maggiormente ricco di possibili implicazioni positive per la personalità dell’apprendente straniero. È un metodo olistico che si rivolge agli aspetti cognitivi e affettivi dell’allievo. Utilizza la suggestione come strumento "positivo" per indurre nel discente un atteggiamento favorevole verso l’apprendimento, per utilizzare tutte le riserve mentali nascoste che possono essere impiegate nell’acquisizione linguistica. Il metodo ha delle importanti implicazioni sul piano neurolinguistico (3): si rivolge ad ambedue gli emisferi cerebrali al fine di integrarne le funzioni. In particolare rivaluta il ruolo dell’emisfero destro, in genere assai trascurato dagli approcci formali. Si rivolge ai meccanismi mentali inconsci per attivarli, non separa ma anzi considera inscindibili i meccanismi mentali consapevoli e quelli inconsapevoli.

La suggestopedia è attenta a ricreare un ambiente e un’atmosfera positiva e rilassante per chi apprende una lingua straniera. A questo scopo si suggeriscono particolari accorgimenti per allestire l’aula di lingue: comode poltrone in luogo delle solite sedie scolastiche, disposizione a semicerchio del gruppo classe formato da circa 8-10 unità, poster alle pareti che richiamano la lingua e cultura del paese di cui si sta studiando la lingua. Si fa ricorso a tecniche yoga di rilassamento e all’uso di mezzi artistici per attivare l’emisfero destro (musica, canzoni, drammatizzazioni, giochi, letteratura e poesia). Il metodo suggestopedico si raccomanda per corsi intensivi di lingua e principalmente si rivolge a studenti principianti. È prevista l’ideazione e l’adozione di un testo narrativo con dialoghi e monologhi ambientati nel paese della lingua target che verrà suddiviso in unità didattiche che poi verranno lette in classe dall’insegnante con l’accompagnamento musicale. Gli studenti avranno nel testo anche la traduzione nella loro lingua madre e questo fa presupporre che la classe ideale per l’applicazione del metodo suggestopedico sia la classe monolingue.

Gli studenti dal primo giorno saranno invitati ad assumere una nuova identità scegliendo un nome e una professione nella lingua oggetto di studio. Tutto è finalizzato ad abbassare le barriere emotive che possano essere di ostacolo ad un apprendimento di successo. [continua]

(1) Nella glottodidattica italiana sono Giovanni Freddi e Paolo Balboni a utilizzare per primi questa espressione poi ripresa da altri studiosi. [torna al testo]
(2) Secondo gli studi di psicologia i chunks sono raggruppamenti di item appresi e immagazzinati nella memoria a lungo termine come un'unità. Lo psicologo Miller sostiene che nella memoria a breve termine non possiamo immagazzinare più di 7 chunks. In ambito linguistico invece i chunks sono considerati unità più ampie delle singole parole.
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(3) Per i rapporti tra le neuroscienze e la glottodidattica cfr. M. Danesi, Neurolinguistica e glottodidattica, Liviana Editrice, Padova 1988.
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